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 2011  gennaio 13 Giovedì calendario

«Informazione tv, stop al monopolio di Rai3» - Mauro Masi, atto se­condo. Il direttore generale Rai, dopo le polemiche che hanno investito la prima parte del suo mandato, per la seconda tranche della sua gestione non fa retromarcia ma anzi accelera

«Informazione tv, stop al monopolio di Rai3» - Mauro Masi, atto se­condo. Il direttore generale Rai, dopo le polemiche che hanno investito la prima parte del suo mandato, per la seconda tranche della sua gestione non fa retromarcia ma anzi accelera. Il top ma­nager di Viale Mazzini, per la prossima stagione (sono ancora da definire i palinse­sti di quasi tutto il 2011), punta a cambiare radical­mente il volto delle tre reti generaliste Rai, soprattutto sul delicato fronte dell’infor­mazione, da rivedere e rifor­mulare sia nella collocazio­ne («vorrei un programma d’informazione in prima se­rata su RaiUno ») sia nei con­tenuti. «Dobbiamo dare un segnale di grande cambia­mento » spiega il dg Rai. «Ba­sta con la tripartizione rigi­da, che risale a 30 anni fa ed è ormai superata, fra una Ra­iUno votata all’intratteni­mento delle famiglie, una RaiDue più giovanilistica e una RaiTre con il monopo­lio esclusivo dell’approfon­dimento dell’informazione e culturale. Questa divisio­ne rigida non sta più né in cielo né in terra». Direttore Masi, significa che vorrebbe più infor­mazione su RaiUno e me­no su RaiTre? «Sì anche, ma non semplifi­cherei in questo modo. Io penso a un grande salto di qualità dell’offerta Rai, an­che in termini di plurali­smo. Perché vede, il plurali­smo di sostanza, non quello di forma, latita in Rai». Ohibò, è quello che la­menta la sinistra. «Al contrario, è evidente che in Rai l’approfondimen­to informativo lo fa in preva­lenza la terza rete, che lo fa secondo i propri standard ». Tendenzialmente anti­berlusconiani... «Non entro nel merito politi­co ma penso sia un grave er­rore gestionale lasciare che l’approfondimento infor­mativo sia di fatto detenuto solo da una rete.C’è un altro tema fondamentale, quello del pluralismo degli ospiti e dei servizi. Spesso in questa stagione abbiamo assistito a programmi bilanciati ri­spetto all’ospite politico ma totalmente sbilanciati su servizi ed esperti». Vuol dire che intende an­che aggiornare il tanto criticato «Codice Masi», quello che disciplina la presenza del pubblico nei programmi, interve­nendo anche sull’impar­zialità di servizi e opinio­nisti? «Se si gira il mondo e si esce dall’ottica provinciale della vecchia Rai, si capisce che certi talk show che si vedo­no in Rai non esistono in nes­sun paese del mondo. Per questo dico che serve un grande sforzo, nell’interes­se di tutti, per avere un’infor­mazione più pluralistica. Faccio appello anche alle componenti più attente del centrosinistra. E poi, vede, credo fermamente che que­sta del cambiamento sia un’esigenza che i nostri di­rettori devono sentire come la sento io». Quando non è successo, si è finiti in tribunale. «La magistratura va rispetta­ta e le sue sentenze applica­te o semmai impugnate nel­le sedi opportune. Detto questo, non posso non nota­re­che la Rai si trova a compe­tere in un mercato estrema­mente concorrenziale co­me quello della tv, con dei vincoli giuridici assoluta­mente pesantissimi, che di fatto stanno portando avan­ti un concetto anacronistico di inamovibilità che sta pre­giudicando in maniera seria le capacità gestionali del­l’azienda e che si risolve in un palese vantaggio per la nostra concorrenza...». Insomma i giudici stanno facendo un favore alla Me­diaset della famiglia Ber­lusconi. «Io mi limito a dire che la Rai deve fare conti con senten­ze totalmente incredibili di cui è difficile trovare prece­denti in Italia o in altri Paesi occidentali, e che hanno un peso tale nella governance che si trasformano oggetti­vamente in un vantaggio per tutti i concorrenti». Come va con il sindacato Usigrai, suo acerrimo ne­mico? «Non c’è nessuna posizione apodittica sul sindacato da parte mia. Io sono sempre aperto al dialogo, ma solo con chi vuole affrontare i problemi strutturali della Rai, che per troppo tempo sono stati fatti marcire. Tro­vo difficile dialogare con chi invece combatte per difen­dere piccinerie di micro lob­by di potere». C’è anche la lobby degli sprechi Rai... «Il recupero delle risorse è il tema più ampio del bilan­cio. Abbiamo imboccato una strada virtuosa ma cer­tamente dura. L’azienda si è dotata di un Piano Industria­le vero, che porterà la Rai ad un piccolo ma significativo avanzo di bilancio, già nel 2011 (per la prima volta dal 2005) compreso tra i 25 e 30 milioni di euro. Ho affronta­to le spese ridondanti: ho bloccato tutte le carte azien­dali, abbiamo tagliato in ma­niera feroce l’uso della mac­chine aziendali, i telefonini, ho chiesto sacrifici anche a direttori di rete e testata che sono in fibrillazione su que­sto... ». Ci dica una cosa che pro­prio non le va in questa Rai. «C’è una cosa che non va as­solutamente bene, lo dico con franchezza, ed è la quali­tà­del nostro palinsesto in re­lazione al servizio pubblico. Dobbiamo fare tv di maggio­re qualità. Anche se non è fa­cile, perché Rai deve fare al tempo stesso servizio pub­blico e mercato. Ed è un ba­lance molto complesso». Più cultura nella tv pub­blica? «Sì ma per cultura intendo anche i grandi spettacoli po­polari. E per far questo cre­do serva un maggiore sforzo di produzione propria e d’autore». Troppe produzioni ester­ne? Un taglio anche qui? «Sicuramente, anche se a volte costa meno fare pro­durre all’esterno. Ma serve soprattutto qualità. Io mi adopererò perché la Rai si consolidi come la prima azienda culturale, in senso popolare, del nostro Pae­se ».