Maurizio Chierici, Furio Colombo, Paolo Flores d’Arcais, Gian Antonio Stella (Chiara Paolin), il Fatto Quotidiano 13/1/2011, 13 gennaio 2011
DA PARIGI A MIRAFIORI • CARO FASSINO LEGGI BENE
Abbiamo sempre immaginato che le vecchie facce non potevano indignarsi perché le rughe raccolgono anni di compromessi e piccole viltà: quel navigare di chi guarda e non vuol vedere si rifugia nella nostalgia delle virtù sprecate quando ormai non minacciano l’ambiguità del sopravvivere. Passato prossimo degli italiani che sopportavano in silenzio l’espulsione degli ebrei dalle scuole, dagli affari, dalla vita. Quindi nessuna novità se il sindaco di Firenze è d’accordo con Marchionne: gli operai della nuova Fiat devono guarire in tre giorni, altrimenti fuori. I miliardi valgono ben altre cose. Renzi a parte, le facce che si arrabbiano sono sempre giovani; sfilano nelle proteste con la decisione di chi sa come andrà a finire, promesse e parole, eppure provano a resistere alla vergogna del primo ministro in maschera dietro al “legittimo impedimento”. Ma il fondamentalismo del mercato sta rovesciando le culture, ecco che l’esasperazione accende la faccia vecchia di Stéphane Hessel, 94 anni: non si rassegna alle furbizie dei poteri con un piccolo libro che richiama alla dignità i politici del galleggiare finché si può. Lettura consigliata a Fassino, candidato sindaco di Torino: se il ricatto non funziona e la Fiat se ne va, come cambia la città? Ristoranti, eleganza, cultura e Fiera del Libro. Anche Juve e Toro giocheranno in Canada? Lettura inutile per Bonanni, Gelmini e i Ghedini di turno. Ieri si diceva ebreo, comunista, extracomunitario; adesso il disprezzo è per studenti e operai, insomma un niente da scaricare nel nome della convenienza. Dei soliti. Gli altri giù nel medioevo. Maurizio Chierici • LA CIVILTÀ PER GLI ALTRI - Chi si indigna, chi no. C’è una educata via d’uscita di fronte ai fatti che riguardano la vita e la cambiano: puoi stare alla larga o dire che va bene. Dà un’impressione di dignitosa equidistanza. Certo garantisce che non sei una testa calda. I saggi e i prudenti si astengono o non si lasciano cogliere dal brutto affare di prendere parte. Si indignano coloro che hanno deciso di non tollerare la schiavitù, di decidere che più di otto ore non si può, non si deve lavorare, che i bambini non possono morire di freddo in mezzo a una strada, che gli operai hanno la stessa dignità e gli stessi diritti di coloro che comandano in fabbrica, che i cittadini sono uguali di fronte alla legge, che i migranti non si possono respingere nel deserto o nel mare.
L’indignazione può essere accesa. A volte dà l’impressione di una ostinazione fastidiosa. È la differenza fra interessi (l’interesse è sempre di tenerti alla larga, tu che centri?) e voglia di cambiare e rendere un po’ migliore la vita cominciando dagli altri. Insomma, la civiltà. La civiltà è indignazione. Furio Colombo - UNA RIVOLTA NECESSARIA - Senza indignazione non c’è morale. Senza indignazione non c’è democrazia. Perché senza indignazione non c’è rivolta, e la democrazia ha bisogno di una rivolta morale permanente contro lo scarto tra la libertà, l’eguaglianza, la fratellanza, il diritto al perseguimento della felicità, e le pratiche dei governi che troppo spesso questi “doveri” della politica quotidianamente calpestano. Questo messaggio sessant’anni fa dominava il dibattito culturale e politico in Francia (e in Europa) grazie a uno straordinario saggio di Albert Camus. E in Francia lo domina di nuovo grazie a 30 pagine che un uomo della Resistenza come Camus, e di Camus coetaneo, ha appena pubblicato. In Italia quelle verità sono state invece dimenticate. Siamo costretti a scommettere se la Suprema Corte boccerà o meno una legge il cui carattere anticostituzionale è di tale enormità da gridare vendetta al cospetto di dio. Siamo di fronte all’abominio di un finto referendum dove gli operai non potranno scegliere se votare Sì o No ma se dire sì o subire la rappresaglia di massa del licenziamento, una pistola puntata alla tempia. Purtroppo di fronte a tanta enormità non si leva l’indignazione e la rivolta unanime di tutte le forze che si spacciano per democratiche. Il Pd si divide tra i ponziopilato e l’infamia del “sì a Marchionne senza se e senza ma” di un rottamatore in foia di carriera. E perfino la Cgil ancora non ha espresso la sua indignazione nell’unica forma sindacale adeguata: lo sciopero generale di sostegno ai metalmeccanici. L’unica vocazione maggioritaria di cui l’Italia ha bisogno è una dose industriale di indignazione democratica. Paolo Flores d’Arcais • MA LA LEGGE NON BASTA - “L’indignazione è un fiume carsico: tornerà a farsi vedere”. Gian Antonio Stella è la firma del Corriere che, da La casta in poi, ha fotografato le furberie della Seconda Repubblica. E che riparte dalla Prima per spiegare come gli italiani abbiano abbassato la guardia morale: “Siamo passati da un eccesso all’altro. Per Tangentopoli ci sono stati undici suicidi, adesso Berlusconi va con l’elicottero della Protezione civile a farsi un massaggio da Mességué e nessuno fiata”. Insomma agli italiani poco importa avere governanti birichini che mescolano affari pubblici e privati. “Diciamo - spiega Stella - che c’è stato un chiaro interesse a far passare la linea: siamo tutti un po’ furbetti, basta con ‘ste tasse, viva la bella vita. La gente un po’ ha abboccato, anche perché non si può essere indignati dalla mattina alla sera. Condividere un andazzo allegro è più invitante, ma finirà tra poco”. Perché certi episodi hanno urticato anche chi credeva al sogno berlusconiano: i costi esorbitanti della politica, il familismo alla Bondi o la Parentopoli di Alemanno, l’arroganza del caso Fiat in un’economia bloccata. “I giovani in piazza sono stati l’espressione più evidente di un disagio condiviso, anche se per ora manca qualcuno che lo catalizzi. Certo ci sono i magistrati che si ostinano a far rispettare le leggi, ma appaiono fuori tempo massimo, interpreti di un accanimento inutile. E siamo nei guai se la condotta morale trova argine nelle sentenze anziché nel sentire comune: nei Paesi seri non occorre una decisione del tribunale per indignarsi”.
(colloquio con Chiara Paolin)