Gianni Marsili, il Fatto Quotidiano 13/1/2011, 13 gennaio 2011
SORELLA INDIGNAZIONE
Sylvie Crossman e Jean-Pierre Barou, piccoli editori di Montpellier, tre mesi fa partirono con 8 mila copie di tiratura. In fondo si trattava di un libriccino, un pamphlet, poco più di un opuscolo. Trenta paginette, nulla di più. Certo, il biglietto da visita di chi le firmava era tutt’altro che succinto: Stéphane Hessel, nato nel ’17 a Berlino, resistente francese fin dal ’41, deportato a Buchenwald, redattore della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, ambasciatore... Un profilo di rara ricchezza, ma una popolarità limitata, non certo paragonabile, per esempio, a quella che fu dell’Abbé Pierre. L’illustre vegliardo, però, si esprimeva con molto giovanile radicalismo sui grandi temi dell’epoca: lo strapotere delle banche e della finanza, il fascismo mai veramente morto, l’immigrazione... Riproponeva, per risollevare l’anima e le sorti della Francia, quello che era stato il programma politico partorito dalla Resistenza, il suo spirito di solidarietà, di redistribuzione, di progresso sociale. I due ebbero l’intuizione di dargli un titolo che è un imperativo: Indignez-vous!, come consentivano l’autorevolezza anagrafica e biografica dell’autore.
OGGI, TRE MESI dopo, la casa editrice “Indigène” è alla quinta ristampa del libretto, che ha superato il mezzo milione di copie vendute, e sta seriamente pensando ad organizzare per il suo antico gioiello una candidatura al Nobel. Il libro costa 3 euro, e anche questo, in tempi di crisi, conta nella scalata delle classifiche di vendita. Ma resta il fatto che il vecchio Hessel, con il suo perentorio invito alla non rassegnazione, alla ribellione “citoyènne” davanti alle ingiustizie che gridano vendetta al cielo, ha toccato una corda molto sensibile e reattiva in un Paese che, con tutti i suoi difetti e le sue magagne, porta ancora in sé qualche traccia genetica del 1789. Da ottobre è quindi partito un passaparola che continua, ormai dopato dalla costante presenza di Stéphane Hessel sugli schermi televisivi, dove piccole e grandi Tv se lo contendono quotidianamente e dove lui dà sempre prova di invidiabile vivacità fisica e intellettuale.
L’altra sera su Canal Plus, per fare un esempio, invocava a gran voce tra una gragnuola di applausi un soggiorno “molto, molto lungo” di Nicolas Sarkozy al di fuori dei patri confini. E visto che in Francia le faccende e i dibattiti politici non sono confinati in serata ma serenamente serviti anche alle ore dei pasti, ebbene, Stéphane Hessel, 93 anni, sta diventando l’oppositore politico numero uno, per quanto lui si schermisca e risponda a chi gli dice “Hessel President” di non prendersi gioco di un vecchio ambasciatore.
Apatia e indifferenza, si sa, non sono la nota dominante della Francia. Uno scontro come quello in corso alla Fiat, per fare un esempio, avrebbe messo sottosopra non solo i quartieri generali del governo e dei partiti, ma anche le discussioni al caffè e in famiglia. E si sarebbe anche manifestato, senza stare a pensare a chi c’è e chi non c’è. È che in Francia, sulle questioni di società e di giustizia, ci si inalbera ancora. Magari a sproposito (come per la riforma delle pensioni), ma si va in piazza, a costo di imbarazzare la sinistra storica e “di governo” come quella socialista.
IL LIBRO di Hessel ha fornito una cauzione, dotata oltretutto di bei quarti di nobiltà, a un diffuso sentimento di protesta assai privo di rappresentanza politica univoca.
Certo Hessel non offre soluzioni puntuali. Moraleggia, dicono i suoi critici (numerosi), piuttosto che proporre. Lui fa spallucce, felice che il suo sasso nello stagno provochi un simile maremoto. Ma se gli chiedono opinioni più precisamente politiche non si tira indietro. Al militante “antagonista ” che gli rimprovera un apprezzamento sul Fondo monetario internazionale, reo di aver affamato e umiliato la Grecia e l’Irlanda, risponde secco: “La gestione del Fmi da parte di Dominique Strauss-Kahn si distingue nettamente da quelle dei suoi predecessori. È un uomo di sinistra, e lo proverà se sarà eletto”. E a chi lo accusa di antisemitismo per aver, lui di padre ebreo, preso di mira Israele, replica serafico: “Io sono felice che nel 1948 lo Stato di Israele sia stato riconosciuto dalle Nazioni Unite. Ma il governo attuale pratica una politica criminale verso i suoi vicini”. Apriti cielo, gli hanno dato persino del “vecchio indegno”.
Il dibattito sul fenomeno Hessel dunque ferve. Si è pronunciato persino il premier François Fillon, puntuto ma senza acrimonia: “L’indignazione per l’indignazione non è una corrente di pensiero”. Hessel è molto apprezzato invece a sinistra, anche dalla sua amica Martine Aubry, per la veemenza con la quale critica Sarkozy.
ALTRI INTELLETTUALI
sono più pensosi. Come Claude Askolovitch, direttore del Journal du Dimanche, che rimprovera a Hessel “una postura regressiva”, che rimpiazza comodamente il confronto “con il caos contemporaneo”. A dir la verità a Hessel non rimprovera nulla, piuttosto ha molto da dire su “quel che si fa di lui”: “Il trionfo di questo libriccino è il problema della sinistra”, che in Francia sarebbe in preda a un vuoto di proposte e di idee politiche, e quindi pronta a fare di questo pamphlet una specie di “libretto rosso” dei buoni sentimenti. Ma il problema con Hessel non è il semplicismo delle sue tesi, è che le esprime con radicalismo sorridente, ineluttabilmente disarmante.