Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 13 Giovedì calendario

Ancora morte e sangue a Tunisi, scatta il coprifuoco - Blindo, mezzi corazzati, camionette dell´esercito e uomini armati a presidiare ogni incrocio e obiettivo sensibile

Ancora morte e sangue a Tunisi, scatta il coprifuoco - Blindo, mezzi corazzati, camionette dell´esercito e uomini armati a presidiare ogni incrocio e obiettivo sensibile.In un´insolita mattinata di pioggia, Tunisi si risveglia coi carrarmati per strada. Dopo l´ultima notte di violenza in un sobborgo a ridosso della capitale (Ettandhamoum) il governo ha deciso per il giro di vite. Impedire ogni assembramento, l´ordine partito dall´alto, Tunisi deve restarne fuori. Ma Ben Ali ha fatto male i conti. Alla fine di una convulsa giornata che ingrosserà il bilancio dei morti di almeno altre 6 unità sarà perfino costretto a decretare il coprifuoco dalle 8 di sera alle 6 del mattino. La cosiddetta "rivoluzione del gelsomino" non rientra nei ranghi dopo qualche promessa. Non serve a calmare la piazza nemmeno l´annunciato licenziamento del ministro dell´Interno né la scarcerazione di tutti i dimostranti arrestati, meno che meno l´impegno a istituire una commissione parlamentare anti-corruzione. La notizia poi, non confermata, del siluramento del capo di Stato maggiore dell´esercito aggiunge tensione a tensione. Il generale Rashid Ammar si sarebbe infatti rifiutato di aprire il fuoco contro chi dimostrava sotto il palazzo del presidente a Cartagine. Qualcuno arriva addirittura a sperare o temere che i militari si preparino a un golpe. Mentre al sud, a Douz che dista 500 chilometri da Tunisi, la polizia mostra il volto feroce di sempre e uccide 5 persone (altri morti ci sarebbero poi a Dagache e Qabali) e un altro manifestante viene ucciso ad Hammamet, nel centro militarizzato della capitale per la prima volta sindacati e comunisti trovano il coraggio di sfilare insieme in corteo. Sono un centinaio di persone in tutto, uomini e donne. In mezzo a loro ci sono 2 giornalisti italiani del TG3, Maria Cuffaro e l´operatore Claudio Rubino. L´unica troupe che possa filmare quel documento. Rubino riprende, la Cuffaro intervista, quando improvviso parte l´attacco, strappano la telecamera a Rubino e il microfono alla Cuffaro, Rubino viene per giunta manganellato alla testa. Niente di grave, per fortuna, se la caverà con qualche cerotto. La telecamera rispunterà solo un´ora più tardi, non escluso per l´intervento deciso della nostra ambasciata. Hanno tentato di cancellare il girato, ma Rubino è riuscito comunque salvare qualcosa. La libera informazione evidentemente non s´addice al regime di Ben Ali. L´ex poliziotto che guida da oltre 20 anni la Tunisia col pugno di ferro è in difficoltà come non mai. «Per la prima volta -sottolinea dalla Francia Karim Emile Bitar dell´Istituto di relazioni internazionali e strategiche - sotto attacco della piazza c´è lui, la sua famiglia, la sua cricca di potere». D´altra parte il fronte di chi protesta si allarga di giorno in giorno. La rabbia dei senza lavoro sta diventando movimento politico. A manifestare infatti non sono più solo i disoccupati ma sindacalisti, lavoratori, studenti, avvocati, artisti, che chiedono la partenza di Ben Ali, la fine della dittatura e rivendicano democrazia e libertà. Quella che proprio non c´è. Ad Hamma Hammami, leader del Partito comunista degli operai di Tunisi (Pcot), è bastata essere intervistato dalla rivista italiana Left per finire nuovamente in galera. A capo di una formazione politica considerata illegale, Hammami, era già stato in carcere in passato. Spira un vento nuovo che sembra coinvolgere larghi strati della società. Ma c´è chi non nasconde la preoccupazione che tutto questo possa essere strumentalizzato. «Ed è esattamente ciò che non vogliamo - spiega il blogger El Hani - la protesta è nata inizialmente come un´iniziativa dei tanti disoccupati di questo Paese che chiedevano solo posti di lavoro, con il passare dei giorni e a causa della repressione della polizia, dei morti è cresciuta trasformandosi in un movimento che chiede cambiamenti politici reali. Non vogliamo che comunisti e islamici mettano il cappello sul nostro movimento. Le nostre proteste sono unicamente finalizzate alla richiesta di un cambiamento nella politica tunisina attraverso la concessione di maggiori libertà democratiche. Vogliamo vivere in uno Stato di diritto e non in uno Stato di polizia - conclude - perché senza la democrazia reale non ci potrà essere alcuno sviluppo».