Varie, 12 gennaio 2011
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Scibona Salvatore
• Cleveland (Stati Uniti) 2 giugno 1975. Scrittore • «[...] nel 2008 tra i finalisti del National Book Award, il più importante premio letterario Usa [...] straordinaria accoglienza riservata al suo romanzo d’esordio, The End [...] Dopo quattro mesi a Roma è andato in pellegrinaggio a Mirabella Imbaccari, il paesino in provincia di Catania dove nacquero i suoi bisnonni. “La mia famiglia ha talmente rimosso la parabola migratoria che in casa storpiavamo persino il cognome, che pronunciavamo Schibona, all’americana. Io sono il primo Scibona ad aver messo piede in Sicilia, da ben quattro generazioni”. Eppure è stata proprio la Sicilia rurale dell’800 a spingerlo verso la scrittura. “Ogni settimana facevo un tuffo indietro nel tempo, visitando la mia bisnonna Domenica Spriglione con i miei fratelli e sorelle nella sua mitica fattoria sperduta dell’Ohio”. “Era lei la matriarca del clan e la mia grande musa— incalza —, un’analfabeta intelligentissima e spirituale, che indossò il lutto dalla morte del marito nel 1952 fino alla propria nel 1994”. Anche la maggior parte dei personaggi di The End sono analfabeti o con scarsa istruzione alle spalle. “La sfida maggiore del mio libro è stata articolare tensioni metafisiche dal punto di vista di persone che non possiedono il vocabolario adatto per esprimerle”. Anche se parla un inglese sgangherato, Rocco, il panettiere del romanzo, ha una vita interiore profonda. “Volevo ribaltare il pregiudizio diffuso tra le élite culturali Usa, secondo cui per porsi quesiti metafisici devi avere un master”. A dire il vero lui il master ce l’ha. Dal prestigioso Iowa writers’ Workshop dove ha studiato con la grande Marilynne Robinson. “Come scrittore, sei sempre ciò che mangi — scherza —. Oltre alla Robinson io ho divorato Faulkner, Toni Morrison, Virginia Wolf, Freud, George Eliot e Saul Bellow, che nel 1998 pubblicò il mio primo racconto nella sua rivista ‘News from the Republic of Letters’”. Tra le sue passioni c’è anche il Nobel Halldòr Laxness. “[...] ho visitato la sua casa natale in Islanda e ho annusato le sue cravatte”. Ma il suo grande idolo resta Don DeLillo. “Fu lui a salvarmi la vita quando, a Roma, mi sentivo solo e depresso perché non parlavo una parola d’italiano e riuscii a trovare una copia di Libra in lingua originale”. Più tardi gli scrisse per ringraziarlo e DeLillo gli ha persino risposto: “Ho incorniciato la sua lettera”, confessa arrossendo. [...]» (Alessandra Farkas, “Corriere della Sera” 12/6/2010) • «Il sogno è cominciato all’età di dieci anni. Fantasticava di scrivere un libro, anzi un romanzo, di mandarlo in lettura a un editore che lo avrebbe approvato senza sapere ed accorgersi che era frutto del lavoro di un bambino [...] “The New Yorker” [...] il 14 giugno 2010 [...] Lo ha inserito tra i migliori 20 autori di fiction sotto i 40 anni. [...] Nel 2009 ha ricevuto il Whiting Writers Award per la fiction con una serata di gala nel grande salone di New York. E l’anno prima era uno dei finalisti del National Book Award. [...] usa una macchina da scrivere e solo dopo infinite revisioni il testo finisce su un computer. Usa due esempi per descrivere la difficoltà della scrittura: “Come una balena che dorme: non può mai del tutto addormentarsi, perché ogni tanto deve salire a galla per respirare”. Oppure: “È come guidare su una lunga strada dritta di notte con i fari che illuminano davanti a te per 30 metri: tu sai dove finisce la strada ma non puoi vedere il punto finale. Solo scoprirla pezzo dopo pezzo”» (Antonio Carlucci, “L’espresso” 16/12/2010) • «[...] Scrivo perché non posso fare altrimenti. Per me si tratta di una necessità ancora prima che una scelta. Sin da quanto ero in prima elementare leggevo nella biblioteca della scuola, e a dieci anni ho costretto i miei genitori ad acquistarmi una macchina da scrivere. Vivo confinato all’interno del mio mondo e quando non scrivo mi sento depresso, ma voglio aggiungere che ho sempre voluto scrivere, ma mai diventare uno scrittore [...] Chi scrive obbedisce a una necessità e una passione, lo scrittore a una convenzione e una qualifica. E trovo che sia un atteggiamento prezioso, malgrado il rischio di intellettualismo e snobismo [...] Non ho un modello ma una dieta: so cosa mi piace mangiare, e quello che mi fa crescere nasce da lì. I miei primi riferimenti sono Fauklner, Virginia Wolff e Bellow, e mi rendo conto di quanto siano diversi. Con Bellow ho un rapporto particolare: ha pubblicato uno dei miei primi racconti sulla rivista News from the Republic of Letters. Ritengo che non bisogna aver paura di farsi influenzare, e incoraggio me stesso e i futuri scrittori a leggere molto [...] Sono un monogamo seriale. Nel senso che mi innamoro perdutamente di un autore e cerco di conoscere ogni cosa che ha scritto. [...] Tra gli americani il più grande a mio avviso è Don DeLillo. [...] La sua lingua, straordinariamente lavorata, non è l’inglese, ma l’americano e, grazie a questo uomo, severo come un monaco, ho capito il rapporto tra l’anima e il modo in cui ti esprimi. E poi, ovviamente, voglio citare Bellow: un gigante della letteratura. Basterebbe citare il finale del Dono di Humboldt, in cui si parla di fiori al funerale del protagonista. Un momento di realismo e di assoluta audacia narrativa [...]il computer è un apparecchio che distrae, e che aiuta nella funzionalità, un elemento opposto a quello di cui ha bisogno lo scrittore, che invece ha bisogno di concentrazione. [...]» (Antonio Monda, “la Repubblica” 12/1/2011).