12 gennaio 2011
L’ONDA VERDE SU MIRAFIORI LA ROSSA
«Devo proprio azzardare dei numeri sul consenso della Lega? Se si votasse oggi, fra gli operai potremmo essere intorno al 20%. Fra gli impiegati di più. Diciamo al 25%».
Roberto Zenga è in pausa pranzo a Mirafiori. Nel 2007 ha fondato la sezione della Lega Nord di Via Daneo, una parallela di Corso Traiano a 300 metri dalla Porta Cinque dello stabilimento, fazzoletto verde in un mare grigio come l’architettura anni Cinquanta che si perde a vista d’occhio e rosso come la sinistra che in questo quartiere ha predominato per cent’anni.
Zenga, che nel 1989 è entrato a Mirafiori e qui ha fatto tutta la sua carriera da caposquadra a quadro, non va tanto per il sottile. Più che un’analisi sulle contraddizioni di un partito come il Carroccio, sospeso fra le antiche pulsioni antiglobalizzazione e il realismo di un rapporto con la Fiat che ha costruito un’asse sempre più Detroit-Torino e sempre meno Torino-Detroit, il suo è il puro annusare l’aria di chi è venuto su a pane, Fiat e Lega Nord. «Grazie a questa sinistra piena di dubbi su cosa fare al referendum di domani e venerdì - afferma Zenga - ormai in molti guardano a noi che ci siamo schierati per il sì». Se il fiuto del leghista di Mirafiori, come lo chiamano a Torino, avesse ragione, oltre mille degli operai delle linee produttive sarebbero ormai in pianta stabile con il Carroccio. Oltre 2mila, invece, gli impiegati convertiti al verbo di Umberto.
Anche questo è un altro effetto del terremoto che ha il suo epicentro in una delle più antiche cattedrali industriali italiane: si ingrossa l’onda verde in una Torino dove, nemmeno alle ultime elezioni regionali, il Carroccio era riuscito a distaccare troppo quota 10%, con un 7% nella circoscrizione 10 (Mirafiori) e un 11% nella circoscrizione 6 (Barriera di Milano e Falchera, gli altri principali quartieri operai). E pazienza se la coltre di emotività, che spinge molti a salire sul Carroccio, seppellisce le ambiguità che il partito di Bossi esprime sul caso Fiat: per esempio la difficile conciliazione della prudenza istituzionale di un presidente della Regione Piemonte come Roberto Cota e la natura profonda della Lega quale movimento che rappresenta prima di tutto gli interessi dei piccoli produttori del Lombardo-Veneto, che per decenni hanno covato antipatia e ostilità verso la monarchia industriale sabauda.
«In realtà - riflette Gilberto Oneto, intellettuale non organico e memoria storica del partito di Bossi - al di là del fatto che Cota è un buon navigatore, la Lega ha sempre avuto molte anime che emergono anche in questo passaggio. Soprattutto all’inizio della sua vicenda, c’era un nucleo ultraliberista favorevole alla contrattazione aziendale, il che è coerente con l’attuale appoggio a Marchionne». Allo stesso tempo, nella Lega sussiste una componente identitaria che porta a rigurgiti anti-globalizzazione e che arriva agli estremi del «delocalizzi? Allora ridai i soldi che hai avuto dallo Stato». A questo proposito rincara da destra, si sarebbe detto una volta, Carlo Stagnaro, uno degli intellettuali liberisti e libertari già vicini alla Lega che hanno fondato proprio a Torino l’Istituto Bruno Leoni: «L’appoggio a un Marchionne che per l’operazione Chrysler ha ottenuto da Washington 15 miliardi di dollari è poco coerente con la componente antistatalista e pro libero mercato che è ancora presente nella Lega».
Al di là dei problemi ideologici, che in un partito in fondo novecentesco come la Lega non vanno comunque sottovalutati, l’attitudine neo-moderata su Mirafiori è bene espressa dall’intervista che martedì Cota ha rilasciato al quotidiano La Padania. Niente a che vedere con il Cota da studio televisivo, aggressivo e arrembante. Piuttosto, un governatore quasi sensibile che definisce lo stabilimento «il simbolo di Torino», dice «mi rincuora che Marchionne abbia confermato che per il via libera agli investimenti basti il 51% dei voti», spiega di apprezzare il candidato sindaco Piero Fassino e il sindaco uscente Sergio Chiamparino («vedo che nel Pd c’è anche qualcuno che ha a cuore gli interessi del lavoro e dei lavoratori»).
Anche se, al di là del profilo personale neodemocristiano che porta il presidente della Regione Piemonte a porgere la mano alla sinistra favorevole all’accordo con Marchionne, la Lega nel suo complesso si è posizionata in maniera silenziosa e quasi cinica nei confronti del problema di Mirafiori. Al di là delle uscite degli ultimi giorni, negli ultimi mesi profilo basso, anzi bassissimo. «Intanto - spiega a questo proposito un dirigente nazionale - perché Marchionne ha garantito a tutti, Cota per primo, che a meno di una vittoria dei no Mirafiori vivrà. Dunque, nessuna emergenza occupazionale all’orizzonte, in una regione che abbiamo appena preso. E, poi, abbiamo scelto un profilo basso perché riteniamo che in fondo si tratti di una questione tutta interna alla sinistra italiana. È la sinistra che ha sempre avuto un rapporto vitale con la Fiat. È cosa loro. Perché alla fine avremmo dovuto incagliarci noi, in questa vicenda?».