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 2011  gennaio 12 Mercoledì calendario

E’ il vaccino mosaico la speranza anti-Aids - Da quando è stato scoperto nel 1981, il virus dell’ HIV ha causato 25 milioni di vittime

E’ il vaccino mosaico la speranza anti-Aids - Da quando è stato scoperto nel 1981, il virus dell’ HIV ha causato 25 milioni di vittime. Il continente più colpito è certamente l’Africa: secondo l’organizzazione britannica «Avert», solo nel 2008 l’epidemia ha fatto quasi un milione e mezzo di vittime e lasciato orfani 14 milioni di bambini. E, sebbene negli ultimi 15 anni la prognosi sia notevolmente migliorata grazie all’azione combinata di farmaci antiretrovirali, la vera speranza per poter contenere l’epidemia è quella di un vaccino. Purtroppo l’HIV continua a sfidare gli scienziati grazie ad un arsenale di armi sofisticate. Innanzi tutto, il virus attacca precisamente quelle cellule che fanno parte del nostro sistema immunitario, indebolendo le difese dell’organismo. Ma l’arma vincente di questo microrganismo è la variabilità genetica, che ne garantisce un mimetismo invincibile. Le sentinelle del sistema immunitario sono i linfociti T, cellule specializzate nel riconoscere gli «invasori». La chiave di difesa sta in un delicato meccanismo di riconoscimento. Per capirlo, possiamo immaginare ogni virus come un lucchetto e ogni linfocita T come una chiave che cerca di inserirsi per poterlo «agganciare» e distruggere. Una volta che un linfocita T riesce ad ancorare il virus, il sistema immunitario produce una notevole quantità di linfociti T con la stessa «chiave». Il problema è che nel frattempo il virus è cambiato, riuscendo nuovamente a mimetizzarsi. Nuove generazioni L’HIV muta così velocemente che il sistema immunitario non riesce a starne a capo. Per esempio, si è visto che già dopo tre mesi dall’inizio dell’ infezione il virus, che inizialmente si trovava nell’organismo, è stato completamente rimpiazzato da una nuova generazione geneticamente diversa e in grado di sfuggire all’attacco dei linfociti T. Un tempo si pensava che ogni epitopo (una parte della proteina virale che si compone di una sequenza di 9 amminoacidi) cambiasse una sola volta nel corso dell’infezione. Recentemente, invece, è stato scoperto che nuove mutazioni si accumulano continuamente, garantendo al virus un continuo ricambio di risorse. In altre parole, con un materiale genetico così variabile, il virus riesce ad esplorare nuove strategie per sfuggire all’attacco dei linfociti T. L’altra arma a nostra disposizione sono gli anticorpi, la cui azione è quella di disattivare le proteine che il virus utilizza per agganciare una cellula e infettarla. Di nuovo, ci possiamo immaginare un meccanismo di chiave e lucchetto: il corpo prova varie combinazioni e, una volta che trova la «chiave» giusta, ne aumenta la produzione. Purtroppo, come per i linfociti T, dal momento in cui l’organismo riesce a produrre anticorpi in grado di annientare una particella virale, il virus ha già cambiato «faccia» e trovato una configurazione non più riconosciuta dagli anticorpi. Questo non avviene solo a livello individuale, ma anche e soprattutto nella popolazione: ormai il virus si è differenziato in una decina di rami genetici distinti (chiamati cladi), distribuite nei vari continenti. Per esempio in Africa è prevalente la specie chiamata «clade C», mentre nel mondo occidentale c’è la «clade B». Un vaccino efficace nell’annientare l’HIV, quindi, deve essere non solo in grado di difendere dalle varie cladi, ma deve anche riuscire a stimolare difese immunitarie tali da anticipare i futuri cambiamenti della popolazione virale. Per capire come si possa ottenere un tale vaccino, bisogna innanzi tutto capire cos’è che garantisce al virus la capacità di cambiare così rapidamente. Due proprietà: la prima è il fatto che il sistema con cui il virus si riproduce è imperfetto, tende cioè a introdurre «errori». Ogni copia è una copia imperfetta e, per quanto casuali, alcuni errori riescono a mimetizzare il virus e a renderlo irriconoscibile. L’altra proprietà è la ricombinazione: quando due virus infettano una stessa cellula, la nuova generazione contiene parte del materiale genetico di entrambe le particelle virali, garantendo una maggiore variabilità. Ed è proprio sfruttando questa seconda proprietà del virus che nel 2007 Bette Korber, ricercatrice al Los Alamos National Laboratory (New Mexico) ebbe un’idea rivoluzionaria per creare un nuovo vaccino che chiamò «mosaics vaccine». Il concetto è racchiuso nel nome: prendere un campione di virus e creare un «mosaico» di particelle virali, ricombinandone i geni, in modo però che mantengano le proprietà naturali dell’HIV. Il processo viene reiterato più volte, fino a creare un virus in grado di stimolare una risposta ottimale da parte del sistema immunitario. Korber e i suoi colleghi pubblicarono lo studio teorico del vaccino nel 2007 su «Nature Medicine». «Le proteine vengono create artificialmente da un software - spiega la Korber - in modo che risultino simili alle proteine naturali del virus. Il software utilizza un concetto chiamato “algoritmo genetico”, che imita l’evoluzione genetica esistente in natura». In questo modo il computer riesce ad ottimizzare il processo di ricombinazione e a creare un virus che sintetizza la variabilità presente nella popolazione iniziale. L’idea è che questa nuova sequenza genetica, una volta iniettata nell’organismo, riesca a massimizzare la risposta immunitaria e, soprattutto, a sollecitare altrettanta diversità nei linfociti T. Infatti la chiave di difesa sta nell’ anticipare i cambiamenti del virus con una popolazione di linfociti T altrettanto variabile. Le simulazioni al computer promettevano già ottimi risultati, ma la risposta che tutti attendevano è arrivata nel 2010: due studi indipendenti condotti su macachi hanno dato risultati estremamente promettenti. In entrambi gli studi, il «mosaics vaccine» è stato paragonato all’utilizzo di un vaccino «naturale» (una sequenza genetica reale, non creata artificialmente) e di un vaccino basato sul virus «ancestrale» (una sequenza genetica ricostruita artificialmente, dalla quale sarebbero derivate le varie cladi dell’HIV). Nei campioni prelevati dai macachi vaccinati con il «mosaics vaccine» è stata rinvenuta una stimolazione molto più forte dei linfociti T. Il sistema immunitario di queste scimmie è riuscito a produrre un numero più alto e una varietà più grande di linfociti T, garantendo una risposta più efficace contro il virus. Entrambi gli studi sono apparsi su «Nature Medicine». Grazie a questi risultati, il consorzio internazionale per la ricerca del vaccino (CHAVI, Center for HIV/AIDS Vaccine Immunology) ha dato il via libera al primo studio condotto su pazienti umani. «Si tratta di una prima fase che vedrà solo un piccolo numero di soggetti - aggiunge Bette Korber - . E’ ancora presto per capire quanto il vaccino possa proteggere dal virus. La prima cosa da studiare è che sia sicuro da usare e quale tipo di risposte immunitarie riesce a sollecitare». Nel frattempo Korber e il suo gruppo studiano come applicare lo stesso principio ai linfociti B, che, con i linfociti T, sono un’altra componente fondamentale del sistema immunitario. Al contrario dei T, che attaccano direttamente il virus, i B producono anticorpi. Il software creato dalla Korber in questo momento ottimizza la ricombinazione per massimizzare la risposta dei linfociti T. «Possiamo applicare lo stesso principio - dice - per massimizzare la creazione di anticorpi in grado di riconoscere le sfaccettature del virus». La prima fase dello studio clinico, diretto da Barton Haynes, direttore del CHAVI, sarà lanciata a fine 2012. «Ogni istituzione membro del nostro consorzio è anche membro del Global HIV Vaccine Enterprise - ha dichiarato -. Questa collaborazione è veramente uno sforzo mondiale».