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 2011  gennaio 12 Mercoledì calendario

IL GIOCO PERICOLOSO DEL DEBITO

Il risultato dell’asta di oggi dei titoli del governo portoghese sarà un elemento in più per prevedere l’evoluzione, nell’anno appena iniziato, della crisi dei debiti pubblici dell’area dell’euro.

Una crisi che si va facendo più complessa. Coinvolge anche Paesi che, come il Belgio, sono stati finora considerati lontani e diversi dagli indisciplinati membri del «club mediterraneo». Vede affollarsi le prossime scadenze dei debiti che ai mercati verrà chiesto di rifinanziare, in concorrenza con l’ingente domanda di fondi delle grandi banche e dei Paesi esterni all’euro, soprattutto il Regno Unito e gli Usa.

È un gioco pericoloso fra tre gruppi di protagonisti: i mercati, i governi nazionali e le istituzioni comunitarie. I mercati, determinando i tassi sui titoli di Stato, esercitano una disciplina utile sulle decisioni dei governi, ma colgono anche l’occasione per impostare speculazioni di breve respiro. Possono esasperare situazioni di finanza pubblica che, pur insostenibili nel lungo periodo, sono senz’altro aggiustabili, con provvedimenti difficili ma graduali. I governi nazionali, impegnati in questi aggiustamenti, cercano di mostrare un ottimismo che non è sempre credibile.
Ecome hanno fatto la Grecia e l’Irlanda, e come sta facendo il Portogallo, tendono a negare fino all’ultimo momento la necessità di ricorrere all’aiuto dell’Ue.

La strategia delle istituzioni comunitarie si articola in due parti. La prima è il sostegno di emergenza. Esso è fornito, nel breve, dalle operazioni della Bce; nel medio termine, fino al 2013, dalla messa a disposizione di rilevanti fondi di supporto appositamente accantonati dai Paesi membri, integrati da risorse Ue e in coordinamento con interventi del Fmi. Questi fondi possono ora contare anche sui proventi delle prime emissioni di titoli comunitari. La seconda parte della strategia consiste nella preparazione di un insieme organico di provvedimenti destinati, nei prossimi anni, a migliorare molto sia la prevenzione che la cura delle crisi finanziarie.

Fra questi provvedimenti vi è una importante riforma, entrata in vigore già all’inizio di quest’anno, della vigilanza finanziaria europea. Vi è una profonda revisione, ancora in corso di definizione, del Patto di Stabilità e Crescita, cioè della disciplina europea delle politiche di bilancio nazionali. E c’è l’istituzione di un fondo permanente per la gestione delle crisi. Il suo funzionamento prevede anche la possibilità che i debiti dei governi subiscano revisioni degli importi, degli oneri di interesse e delle scadenze, facendo pagare parte dell’aggiustamento a chi ha investito nei titoli a rischio. Per creare questo fondo permanente, che subentrerà fra due anni alla cessazione degli attuali fondi di emergenza, è stata addirittura deliberata dal Consiglio una modifica dei Trattati.

Il problema dell’azione comunitaria è la sua complessità, il fatto che è composta da tanti elementi difficili da definire e deliberare nei dettagli, ma tutti fra loro collegati e indispensabili. Inoltre è un’azione che può essere continuamente rallentata da esitazioni e ripensamenti dei Paesi membri, ai quali si chiede di rinunciare a parte della loro sovranità per ottenere tutti insieme più stabilità e una crescita migliore.

È dunque evidente che il gioco fra i tre protagonisti è arduo e pericoloso. Ma è altrettanto chiaro che i giocatori sono all’opera con impegno e che la loro interazione è in grado, nel giro di tre-cinque anni, di risistemare seriamente la finanza pubblica europea.

Purtroppo c’è anche la possibilità che il gioco vada male e si prolunghi in modi sempre più costosi per tutta l’Ue. Questa possibilità è accresciuta dalla scarsa credibilità delle leadership politiche nazionali, che dovrebbero agire sia aggiustando al loro interno che contribuendo a rendere più rapida e incisiva l’azione comunitaria. Si pensi alle condizioni del governo portoghese o alle lacerazioni politiche del Belgio; ma sono solo esempi e, fra le altre, la situazione italiana non lascia tranquilli. La plausibilità dello scenario pessimista deriva anche dall’equivoco di fondo di un’Europa che ha troppo a lungo esitato ad ammettere che l’accentramento comunitario di una parte dei poteri di tassazione, spesa e indebitamento pubblici, col rafforzamento dell’unità politica che l’accentramento richiede, è nell’interesse nazionale e collettivo di tutti i Paesi membri e uno strumento potente per rendere più prospera l’economia europea.