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 2011  gennaio 12 Mercoledì calendario

ALL’UNIVERSITÀ INSEGNANO A FARE GLI OMOSESSUALI

Alta froceria. Chissà se, tra una lezione e l’altra, risuoneranno i Village People; se verrà recitato “La lingua perduta della gru” del finissimo David Leavitt; se saranno proiettate le puntate dei Simpson in cui il religiosissimo Nell Flanders scopre che il figlio è una checca o quella in cui Jerry Rude ospita delle gladiatrici lesbiche nel suo talk show . Chissà quale sarà il programma del laboratorio “Omosessualità: un mondo nel mondo” all’Università Statale.
Perchè di questo si tratta: a Milano, presso la facoltà di Scienze Politiche partirà “un corso facoltativo della durata di undici lezioni di due ore ciascuna, e gli studenti che lo frequenteranno guadagneranno tre crediti formativi”. Tre crediti, occhio. Per studiare e produrre elaborati su -tra gli altri: “La Queer Theory e i generi”, tema già presente in alcuni seminari di Antropologia Culturale; sui diritti civili degli omosex, peraltro già studiati a Giurisprudenza (che sono -sorpresa!esattamente come quelli degli etero, ex art. 3 della Costituzione); sul “rapporto tra omosessualità e politica”, come se non sapessimo che erano più i presidenti del Consiglio gay italiani che i moschettieri di Dumas (ma siamo sicuri che i diretti interessati volessero davvero fare outing?). Questo per dire che un corso del genere non attiene alla sfera
del pregiudizio, ma a quella dell’inutilità. Se, come affermano orgogliosamente i gay, essere gay come essere ebrei, comunisti, berlusconiani, operai della Fiom, preti, di razza caucasica, tifosi della Fiorentinaè un fatto assolutamente normale; be’ che bisogno c’è di farci lezioni all’università?
La qual cosa, in sostanza non è uno scandalo, ma semplicemente una puttanata. Ad essere onesti ci fu già l’Ateneo di Bologna che nel 2006/2007 organizzò un corso simile , “Welfare state e cittadinanza: gay, lesbiche, bisex, trans (GLBT)” che però era a pagamento 400 euroe risultò di una noia mortale. Soprattutto, quel corso non era gratuito e quindi non era a differenza di quello di Milanopagato dallo Stato, cioè da noi. Ora, per la curatrice Antonella Besussi, ordinario di filosofia politica presso la facoltà della Statale, il suo corso gay: «può essere un esperimento interessante. Probabilmente sconta ancora qualche ingenuità, ma è un modo per parlare della questione evitando scivolamenti che, purtroppo, sono ancora molto presenti al giorno d’oggi». I prof spiegano che il suddetto corso è la reazione, evocata dal collettivo gay universitario, «all’attacco omofobo subito da un ragazzo in Statale». Il che è come dire che se ti fottono il motorino sotto la facoltà, il giorno dopo urge un seminario su “Furto con destrezza tra motocicli di piccola ci-
lindrata: eziologia dei processi cognitivi”, 15 lezioni e 4 crediti: così la gente capisce che rubare non è politicamente corretto. Poi ci lamentiamo con la Gelmini delle facoltà superflue e dei corsi che rasentano il surreale.
Il sospetto lo diciamo da sostenitori liberali di ogni minoranzache la suddetta “scuola di gay” sia solo una provocazione mediatica. L’orgoglio gay ostentato è ormai è di moda come i pantaloni a zampa d’elefante. Da Cecchi Paone a Vladimir Luxuria, da Platinette a Malgioglio, dal primo dei politici all’ultimo degli addetti alle luci in televisione, i cosiddetti coming out sono talmente all’ordine del giorno che perfino amici come Daniele Scalise e Alessandro Golinelli, gay dichiarati e dalla lucidità di pensiero fuori dal comune, ne condannano l’abuso.
La froceria da carri carnevaleschi, le paillettes e le pose da Drag Queen distruggono in un minuto cinquant’anni di lotta alla discriminazione sessuale, così come il machismo idiota ed estremizzato di certa destra rese icone del cinema come John Wayne involontarie icone paranaziste. A quel punto, per neutralizzare qualsiasi pregiudizio vale più una canzone di Checco Zalone che dieci lezioni: «Gli uomini sessuali sono /tali e quali/come noi»... Tra l’altro fa più ridere e costa meno.