Franco Bechis, Libero 12/1/2011, 12 gennaio 2011
LA GRANDE PANZANA: UGUALI DAVANTI ALLA LEGGE
L’ultimoadavereritiratofuoril’argomento è stato Andrea Manzella, ieri su Repubblica: ogni legge ferma-processi di Silvio Berlusconi sarebbeincostituzionaleperché«è inviolabile in una Repubblica democratica il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge». È una assoluta panzana, anche se è la più gettonata dai costituzionalisti di grido sulla stampa e in tv per gridare allo scandalo di fronte alle “leggi ad personam”. In Italia e a dire il vero anche in tutte le altre democrazie occidentali non tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.
I Parlamentari ad esempio non sono affatto uguali agli altri cittadini fin dal varo della Costituzione della Repubblica italiana. Ai tempi di Benito Mussolini capitava che la giustizia fosse usata per regolare conti politici, perfino all’interno del partito unico, e che i magistrati volentieri si prestassero. Così quando è nata la democrazia si è pensato (inutilmente) di porre fino al gioco, regalando agli eletti una immunità particolare prevista dall’articolo 68 della Costituzione. Fino ai tempi di Tangentopoli questa legge ad personam valida per 945 deputati e senatori imponeva pure di chiedere il permesso al Parlamento anche per indagare questo o quel politico. E di regola il permesso veniva negato.
L’opinione pubblica in quegli anni si infuriò per questa diseguaglianza e i parlamentari decisero un parziale ma furbissimo hara-kiri. Stabilirono che si poteva tranquillamente indagare su di loro e istruire processi senza chiedere il permesso, ma salvarono un bel po’ di privilegi. Ad esempio, un cittadino italiano qualsiasi può essere perquisito a casa e in ufficio. Un parlamentare no. Un cittadino può essere intercettato al telefono o con microspie ambientali in qualsiasi momento. Un parlamentare no. Un cittadino italiano non può diffamare o insultare un altro cittadino. A un parlamentare quasi sempre è concesso: basta che sostenga di avere pronunciato l’insulto nell’esercizio delle sue funzioni, e passa tutto in cavalleria.
La legge dunque non è uguale per tutti, e lo sanno benissimo anche costituzionalisti e commentatori in servizio
anti-Berlusconi permanente ed effettivo. Ma lo sanno soprattutto gli stessi uomini politici che scatenano mille polemiche per le leggi ad personam del Cavaliere. Lo sa benissimo Massimo D’Alema: Clementina Forleo voleva usare le sue intercettazioni sulle scalate bancarie e lui le ha fatto rispondere senza troppi fronzoli “giù le zampe”, prima dalla Camera dei deputati poi addirittura dall’Europarlamento. Per le stesse intercettazioni il tribunale di Milano ha chiesto l’autorizzazione nei confronti del senatore Pd Nicola Latorre. Lui ha sostenuto che c’era “fumus persecutionis” nei suoi confronti (toh,
quel che dice Berlusconi) e il Senato ha restituito gli atti non concedendo l’autorizzazione a usarli. Deputati e senatori del Pd non sono uguali agli altri cittadini di fronte alla legge. Non lo sono nemmeno deputati e senatori del PdL, ma almeno lo rivendicano e non fanno finta di scandalizzarsi se alla legge cerca di sottrarsi un avversario politico.
Così qualche mese fa la Camera ha scelto di togliere dalle grinfie del collegio per i reati ministeriali di Roma Alfonso Pecoraro Scanio, che da ex ministro dell’Ambiente era accusato di avere favorito due imprenditori in cambio di qualche vacanza gratis in hotel sette stelle e altre amenità. Per processarlo erano necessarie le intercettazioni telefoniche. Qualsiasi altro cittadino sarebbe finito agli arresti con quelle. Pecoraro Scanio se l’è sfangata ed è pure diventato professore universitario, docente di ecoturismo (e certo anche ecoballe) alla Bicocca di Milano. Il Pd Fabrizio Morri due volte è stato querelato dal consigliere di amministrazione della Rai, Angelo Maria Petroni per giudizi e accuse pesantine nei suoi confronti. E due volte è stato salvato da Aniello Formisano, deputato dell’Italia dei Valori, facendo valere quella immunità grazie a cui la legge non è uguale per tutti.
Nemmeno per i dipietristi che, quando fa comodo a loro o ai loro amici politici, si rifugiano subito nella legge ad personam. Quell’essere diversi da tutti gli altri cittadini di fronte alla legge in realtà piace tantissimo ai moralizzatori. Alla fine della prima Repubblica Gianfranco Fini pensò bene di dare in libertà del mafioso a un po’ di politici siciliani, fra cui anche l’allora dc Raffaele Lombardo, attuale presidente della Regione e sodale del leader Fli. I diretti interessati non la presero bene, e denunciarono Fini. Che non pensò nemmeno un secondo di potere finire davanti a un giudice a spiegare le sue accuse inventate lì per lì. E per evitare di essere condannato e pagare i danni, si fece salvare dagli amici in Parlamento. Anche Fini è stato un cittadino più uguale di tutti gli altri davanti alla legge.