Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 11 Martedì calendario

FRONTE DEL PORTO


Non era mai successo. Ed è una sconfitta per tutta la Calabria. Perché un porto che chiude (anche se per sole 30 ore) è uno schiaffo in faccia ad un’intera regione. E a chi ha creduto e sperato che dal «più grande porto del Mediterraneo» potesse ripartire un’economia regionale in ginocchio. Dal 1995, anno di apertura, mai era accaduto che lo scalo di Gioia Tauro chiudesse «per mancanza di navi». Con una comunicazione, scarna e repentina, il terminal gestito da Mct Container ha così chiuso i battenti dalle 19 di sabato fino alle prime ore di ieri mattina. «Si tratta - ha spiegato l’ad di Mct Vincenzo Iacono - di un intervallo di tempo nel quale non essendoci navi da lavorare abbiamo deciso di sospendere l’attività lavorativa».
Alle 19 in punto le gru si fermano e il porto si blocca. La «febbre del sabato sera» dei portuali di Gioia ha il sapore amaro della rabbia e della beffa. Ma i lavoratori hanno la scorza dura. E alla iniziale incredulità subentra la voglia di lottare e di mobilitarsi. Le banchine si riempiono, così, di centinaia di portuali, alcuni con figli al seguito. L’atmosfera è surreale, senza le sirene di allarme, il rumore dei container, lo spostamento dei mezzi logistici. Le maestranze masticano collera, «perché il segnale è chiaro e sinistro - spiega uno di loro - noi non sappiamo cosa stia accadendo ma pretendiamo con forza che l’azienda ci spieghi in quale situazione si trova e cosa potrà accadere nel prossimo futuro». Il sit-in spontaneo si gremisce minuto dopo minuto. La preoccupazione è palpabile anche considerando la latitanza dell’azienda. «Noi ci saremmo aspettati - sottolinea Carmelo Cozza, segretario regionale del Sul e membro del Coordinamento dei portuali - che a seguito di questa manifestazione almeno un rappresentante dell’azienda venisse qui ai cancelli per farci capire i motivi di un fermo che in 15 anni non si era mai visto. Tenuto conto che anche il presidente dell’Autorità portuale, Grimaldi, raggiunto da noi telefonicamente non era a conoscenza di questo blocco improvviso delle attività. Invece Mct latita oggi come in passato. Noi crediamo che alla base di questa decisione inaudita ci siano delle frizioni commerciali tra l’azienda e Msc che è il suo principale cliente e che in quanto tale stia cercando di spuntare tariffe migliori nei confronti di Mct. Ma il prezzo rischiano di pagarlo i lavoratori».
Agli inizi del 2010 la crisi economica del settore aveva già messo a rischio il porto di Gioia e i lavoratori. Che per protesta nel mese di febbraio e per 2 settimane sono saliti sulle gru. La lotta dei portuali fu il grimaldello di un buon accordo che prevedeva tra l’altro la riduzione delle tasse di ancoraggio varate dall’Autorità portuale. L’anno appena trascorso si è chiuso così con poche perdite anche considerando il forte investimento profuso da Msc e dal suo patron, Gianluigi Aponte. Che non fa mistero di voler entrare nel board del terminal gioiese gestito da Mct che gravita nell’orbita di Contship. La trattativa si trascina da mesi e si gioca sui tavoli tra Ginevra e Amburgo. Per Contship sarebbe stato facile, se Maersk Line (l’azionista di minoranza) avesse deciso di cedere le sue quote, sostituire il suo socio con Msc. Ma ciò non è accaduto. Aponte è in una posizione di forza. Ha il monopolio sui traffici nel porto ed è consapevole che i volumi che movimenta lo scalo gioiese arrivano per lo più dalle sue navi. Anche perché Maersk ha ridotto del 60% i suoi traffici sullo scalo gioiese e ha delocalizzato i propri volumi verso Port Said e Tangeri dove trova manodopera a basso costo. Ma la compagnia danese (il principale armatore container del mondo) vuol mantenere il controllo di Gioia per diversi motivi: non cedere un hub prezioso al suo diretto concorrente (Msc), poter usare lo scalo calabrese come sfogo nel caso i porti del Nord Africa non garantissero in futuro i vantaggi attuali (governi instabili e non affidabili, possibili cambi di strategia dei potentati locali), poter continuare ad avvalersi del terminal gioiese laddove le strategie di governo italiane dovessero risultare più favorevoli (nel caso di potenziamento dei percorsi ferroviari attualmente non competitivi). Tutto questo mentre un altro colosso dello shipping come Grand Alliance è stata dirottata su Cagliari facendo perdere circa un milione di euro. Se anche Msc decidesse di far dirigere le prue delle sue navi verso altri porti, per Gioia sarebbe un tracollo. È una partita doppia quella che si gioca, dunque, in queste ore. Tra chi vuole entrare nella partnership del porto (Aponte e Msc) e chi invece nicchia (Mct, di proprietà del duo svizzero tedesco Battistello-Eckelmann).
Msc, vedendosi chiusa la porta in faccia da Mct, ha pensato, dunque, di dare un segnale forte. Sfidando a viso aperto Mct e anche l’Autorità portuale. Con una «serrata» di breve durata che bloccasse le proprie navi dirette a Gioia per 30 ore in un momento in cui anche Maersk non ne sta portando. Tutto ciò per forzare la mano, per alzare la tensione, per spingere l’opinione pubblica calabrese a «convincere» Mct a cambiare atteggiamento. «Rischiamo un forte ridimensionamento - spiega Salvatore La Rocca, segretario della Camera del lavoro di Gioia Tauro - verso porti extraeuropei che si affacciano sul Mediterraneo come Malta, Port Said, Tangeri. Uno scenario terribile per l’intera Piana, un’area già provata sul piano occupazionale». Ma il governo (il ministro Matteoli, anzitutto) è inerte e la situazione rischia di precipitare. «E i problemi del porto diverranno ancora più gravi - ribadisce Cozza - se non si comincerà a recuperare il gap accumulatosi negli anni. Infrastrutture logistiche, potenziamento delle ferrovie e l’istituzione di una zona franca per l’area devono rappresentare la priorità se davvero, e non solo a parole, si vuol fare di Gioia Tauro il centro del Mediterraneo. Perché il governo non concede da subito l’autonomia finanziaria alle Autorità portuali affinché provvedimenti giusti come lo sconto sulle tasse di ancoraggio possano attrarre nuove linee di navigazione e far aumentare i volumi di container? Non è possibile che qui, considerate posizione e potenzialità, non si riesca a fare ciò che in Africa si sta facendo per Tangeri».
Alle 2 di notte tre navi entrano in porto. Una quarta era già arrivata nella tarda serata di domenica. Lo scalo ritorna così a pieno regime. Ma la tensione tra le maestranze non muta. L’azienda ha comunicato di aver collocato i 1200 dipendenti in cassa integrazione per i due giorni di fermo. «È stata una forzatura bella e buona - esclama La Rocca - perché sabato e domenica si potevano fare almeno 5 "mani" di lavoro nel terminal. Adesso occorre ottenere la massima attenzione del governo nazionale e regionale per evitare altre brutte sorprese». I portuali sono arrabbiati. E non a torto. Erano pronti a scioperare e solo per senso di responsabilità non l’hanno fatto. Oggi la loro vita quotidiana riprende. La vita di un portuale, appesa ai cavi di una gru, al lavoro tra una stiva e un boccaporto, sulla chiatta o su un rimorchiatore, a caricare (e scaricare) sacchi e container dalle navi. Rischiando la vita per poche migliaia di euro mentre armatori miliardari trafficano cinicamente sulla loro pelle.