Filippo Facci, Libero 11/1/2010, 11 gennaio 2010
IL CORRIERE ESALTA LA GIORNALISTA CHE GETTÒ FANGO SU CALABRESI E LEONE
Il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo semplicemente offensivo o se volete disinformato, ipocrita, falsificatorio e non deve neppure provarci a dire che offenderemo la memoria di Camilla Cederna, la giornalista che il Corriere voleva celebrare nel centenario della sua nascita: perché sono ben altri i morti e le memorie che sono stati ingiuriati ieri. Va da sé che fare marchette per pubblicizzare un libro Rizzoli è senz’altro lecito (sta per uscire un tomo che raccoglie il meglio/peggio della Cederna) ma questo non significa riabilitare tutte le spaventose sciocchezze che la giornalista ebbe a scrivere negli anni Settanta in omaggio al conformismo più delirante. E tantomeno significa come ha fatto quel genio di Ranieri Polese, lo svampitissimo autore dell’articolo reinventarsi che da Piazza Fontana in poi «l’Italia entra in un tunnel di stragi, orrori, complicità, complotti su cui nessuno è riuscito a fare chiarezza, e che solo l’assurda, programmatica amnesia degli ultimi vent’anni ci fa apparire ancora più lontani». Anzitutto «nessuno è riuscito a fare chiarezza» un corno: molte stragi impunite sono state punite, se poi si ignorano gli atti basta non scrivere articoli. Ma ancora: di quale «amnesia» stiamo parlando? È da trent’anni che si elabora il lutto degli Anni di piombo, e i meravigliosi risultati sono questi: Camilla Cederna descritta come una specie di Giovanna D’Arco che abbandonò merletti e gossip (era una giornalista di costume) per dedicarsi al tritolo, alle bombe, il tutto con eguale leggerezza. Amnesie? La memoria la rinfreschiamo noi: sempre che al Corriere non vogliano riprocurarsi il pregevole Eskimo in redazione di Michele Brambilla, libretto che certe bestialità di massa le documenta tutte.
Falsità evidenti
Il punto è che la Cederna, ai tempi, non ammetteva neppure l’evidenza: nel 1977, intervistata da Lietta Tornabuoni, ancora ribadiva che «vedevo il commissario Calabresi arrivare coi suoi e picchiare gli anarchici durissimamente... accompagnava gli interrogati vicino alla finestra dicendo loro: vediamo se sei coraggioso, se ti butti giù». Poi la giornalista passava a descrivere l’Italia come un Paese sudamericano (tipo il Brasile, per capirci) coi suoi «poliziotti che picchiavano gli studenti con le catene, i gas asfissianti, le azioni di commando»: mai una volta che abbia ammesso che la violenza era anche di sinistra. Ora in compenso arriva Polese che descrive la Cederna come una coraggiosa di minoranza, quando invece «mi premiavano persino», ha raccontato lei stessa nell’intervista, «mi davano il Premio Palazzi per il coraggio, il Premio Omegna della Resistenza». Perché era, spiace dirlo, la contessa del cervello all’ammasso: fu la prima a sottoscrivere un appello secondo il quale Giangiamomo Feltrinelli trovato morto nei pressi di un traliccio a Segrate era stato assassinato dallo Stato, perché lui era un editore democratico, mica un dinamitardo. Potere operaio non aveva ancora spiegato che l’attentato a Feltrinelli l’aveva fatto Feltrinelli, caduto, diciamo così, per un incidente sul lavoro. Così lei si appellò assieme a Scalfari: «Feltrinelli è stato assassinato... Il potere politico, il governo, il capitalismo italiano avevano bisogno di un mandante». Venne fuori la verità e fu incriminata per diffusione di notizie tendenziose, eppure nell’aprile 1972 ancora insisteva: lei aveva solo scritto «una notizia che riferisce cose vere».
Di seguitò passò a prendersela col commissario Luigi Calabresi. Scrisse un libro, Una finestra sulla strage, in cui prima descrisse con compiacimento tutte le vignette di Lotta Continua (immagini di indagati che si presentavano in questura col paracadute sulle spalle) e poi ecco la tesi: la polizia aveva ucciso l’anarchico Pinelli e stava coMentre in Italia continua il successo della mostra fiorentina di Palazzo Vecchio “For the love of God” (fino al 1 maggio), in patria impazzano le polemiche per l’artista inglese Damien Hirst. La sua ultima opera, dal titolo “For Heaven’s Sake”, “Diamine” (nella foto), è un teschio di neonato ricoperto di diamanti. Riprodotto in platino e decorato con circa 8 mila diamanti rosa dalla gioielleria
Bentley & Skinner, il teschio appartenuto a un neonato di due settimane sarebbe stato acquistato da Hirst in un lotto del XIX secolo. L’opera verrà esposta il prossimo mese ad Hong Kong, mentre dovrebbe arrivare a Londra entro la fine del 2011. Per alcune associazioni di genitori, come Netmums, l’opera è un’offesa all’infanzia e denuncia una grave insensibilità.
bresi, su l’Espresso del 20 giugno 1976, ecco che Calabresi passerà da strumento di repressione antidemocratica a figura che è stata eliminata perché aveva pestato i piedi alla destra. Ergo riappariva lei, sempre su l’Espresso, con la stessa accuratezza: «Calabresi viene abbattuto con tre colpi (erano due, ndr)... Lo sparatore sale di corsa su una 125 rossa (era blu, ndr) ... la macchina era svizzera (era italiana, rubata due sere prima a un cittadino milanese, ndr) con una donna al volante e un giovanotto dietro (era uno solo, ndr) ... La macchina fila via, investendo di striscio una Simca azzurra (no, l’incidente avvenne prima, non dopo l’omicidio, ndr)... Erano giorni che il commissario non aveva più la guardia del corpo (non ne aveva mai avuto nessuna guardia del corpo, ndr).
La verità negata
Questa era la Cederna: quella che Sgarbi definì «quasi la mandante dell’assassinio del commissario Calabresi» (querelato, fu assolto) e quella che scrisse un libro infarcito di nefandezze sull’allora capo dello Stato Giovanni Leone: fu condannata in tutti e tre i gradi, ma tanto ormai il libro aveva già venduto 600 mila copie, come ricorda adesso, gongolando, Ranieri Polese. Il quale concludeva il suo articolo, ieri, lagnandosi che a Camilla abbiano negato l’Ambrogino d’oro, e persino che cosa disdicevole il nome su una pubblica via. Segno che c’è ancora in giro qualche scemo dotato di memoria.
prendo gli autori della strage di Piazza Fontana: che in questura tutti evidentemente conoscevano, e dei quali erano complici. L’accuratezza visionaria della Cederna lo merita proprio, un libro celebrativo: perché in effetti non scrisse solo follie tipo che Calabresi aveva sottoposto Pinelli a «77 ore di interrogatorio ininterrotto», ma descrisse anche la morte dell’anarchico con certa sicumera: «Pinelli di colpo intuisce qualcosa di sorprendente, circostanze, persone, legami che delle bombe di Milano danno una spiegazione assolutamente in contrasto con la versione corrente. Ingenuo com’è, magari aggiunge che l’indomani andrà dal magistrato a riferire tutto, comunque ha capito qualcosa che non doveva capire, ed è la sua intuizione che probabilmente può spiegare il mistero della sua morte».
La Cederna decise che era andata così. Chiaro che non poteva mancare la sua firma tra quella degli ottocento “rappresentanti della cultura” che nel giugno 1972 definirono Calabresi «commissario torturatore» nonché «responsabile della fine di Pinelli». Poi, quando ammazzeranno Cala-