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 2011  gennaio 11 Martedì calendario

MA ATLANTI E CARTE CI NASCONDONO IL MONDO" - A

cosa serve la geografia? Abolita da molte scuole, comprese quelle nautiche, è stata di fatto ridotta a "cartografia". Da un lato facciamo mappe di tutto, dalla letteratura alla scienza, dall´altro sembra davvero che gli strumenti tecnologici possano sostituirla senza troppi rimpianti. Abbiamo il navigatore satellitare, abbiamo Google Maps, possiamo geolocalizzare qualsiasi cosa. Eppure c´è chi non è d´accordo. Come Franco Farinelli, geografo che ha insegnato anche a Berkeley e Parigi e che nel suo ultimo lavoro (Crisi della ragione cartografica, uscito da Einaudi), riflette sui nuovi modelli della disciplina nell´epoca della globalizzazione.
Professore, cos´è la geografia?
«Molto banalmente, credo che geografia sia quella forma di sapere che esisteva in Occidente prima della filosofia. Lo diceva Strabone, all´inizio dell´era volgare: prima dei filosofi c´erano i geografi. Ne faceva i nomi: Talete, Anassimandro, Anassimene, Anassagora. Cioè quelli che a scuola abbiamo studiato come filosofi presocratici. Giorgio Colli li chiamava semplicemente sapienti greci. Sembra paradossale dirlo oggi, visto lo stato dell´insegnamento della geografia e la considerazione che se ne ha, ma sapienti erano i geografi. Coloro che avevano messo a punto i primi modelli con i quali tentare di venire a patti con il mondo. Era un modo per renderlo domestico, facendo della Terra la propria casa. Il paradosso è che oggi abbiamo ancora più bisogno di modelli per far sì che il mondo resti domestico».
Quando i modelli antichi hanno smesso di funzionare?
«Con la modernità. Quando Tolomeo inventa il sistema delle coordinate, longitudine e latitudine, inventa quel reticolo geografico che ci ha permesso di irretire e catturare la sfera terrestre, traducendola in spazio. Il problema cruciale è però che la modernità ha modellizzato la realtà come una tavola, come una gigantesca mappa. Al punto che la superficie della Terra o, come dicevano i geografi, la faccia della Terra, è diventa la copia della mappa, e non il contrario. La modernità si coglie soltanto se si tiene presente questa inversione necessaria rispetto al rapporto, oggi tanto di moda e di cui molto si blatera, fra la mappa e il territorio».
Poi è arrivata la globalizzazione…
«La globalizzazione non è altro, di solito lo si dimentica, che il riconoscimento di qualcosa che si è sempre saputo, ma che si è preferito schivare: ovvero che la terra è un globo, una sfera. Il problema enorme è che dal punto di vista topologico, diciamo matematico, la sfera e la mappa sono irriducibili l´una all´altra. Quando si traduce la sfera reale in mappa, c´è sempre qualcosa che si perde. Ed è qualcosa di decisivo, di centrale, anche nell´organizzazione del nostro pensiero e della nostra capacità di rispondere al funzionamento del mondo: lo spazio e il tempo.
Quindi se la modernità ha congelato lo spazio e il tempo nelle mappe, con la globalizzazione scompaiono del tutto?
«C´è un momento preciso che segna l´inizio della globalizzazione: l´estate del 1969. Era l´estate in cui si stava con il naso per aria a guardare lo sbarco sulla luna. Proprio in quegli stessi giorni, per la prima volta, due computer iniziarono a dialogare fra loro. Da una parte si pensava in termini di conquista dello spazio. Dall´altra parte, senza che nessuno ci dicesse nulla, lo spazio finiva. Diventava ininfluente nei confronti del funzionamento decisivo del mondo, cioè quello dei flussi economici e di informazione. Questo significa davvero l´inizio di un nuovo mondo. Non che spazio e tempo non servano più: tutti ancora li usiamo nella riproduzione sociale della vita. Ma nella rete non esistono».
C´è un paradosso: è proprio la rete ad aver innescato un´iper-produzione di cartografie.
«La proliferazione dell´immagine cartografica è ritenuta essenziale, decisiva. Eppure riesce a trattenere del funzionamento del reale soltanto una minima parte. Un computer è una mappa che produce in continuazione altre mappe. Scritte, in fondo, con un codice binario. La logica binaria nasce su una tavola, dove un segno c´è o non c´è. Ora, anche la mente è stata raffigurata come una tavola: tutta la cultura da Aristotele a Mao Zedong, quando deve indicare un modello di mente indica la tabula rasa. Ma vi è un vizio di fondo in tutto ciò: la mente non è una tavola. La tavola è binaria, mentre la nostra mente non lo è. Perché pensare significa sempre tenere insieme le alternative, poi è l´azione a sceglierne una. La riduzione della realtà a mappa limita e impoverisce la nostra possibilità di comprensione del mondo».
Oggi grazie ai nostri telefonini intelligenti sappiamo sempre dove siamo. Tanto che la geolocalizzazione è quasi un´ossessione.
«Con la geolocalizzazione sappiamo dove siamo, certo, ma su una mappa. La realtà è un´altra. La crisi dello spazio è la crisi di questa visione. Nonostante la tecnologia la riproduca quotidianamente in maniera sempre più pervasiva, il rischio è quello di non comprendere più il funzionamento del mondo».
Come si evita questo rischio?
«Facendo ciò che Tolomeo vietava quasi espressamente: riconoscere cioè che il mondo è una sfera, e l´unica geografia possibile è la geografia dei punti di vista, dei luoghi. La differenza vera fra una mappa e un luogo è questa: se hai una mappa di fronte a te, è la mappa a dirti come devi guardarla e da che punto. Ti impone il proprio punto di vista. Ma se hai un globo, il soggetto si muove, abita un luogo e poi si sposta. Se nessuno Stato è in grado di approntare una politica minimamente decente nei confronti dei flussi migratori è anche perché la modernità si è retta sull´assunto tolemaico che il soggetto debba stare fermo. Il veto tolemaico sul quale si fonda la costruzione dello spazio è molto difficile da rimuovere. E, soprattutto, impedisce di interpretare la globalizzazione, cioè la direzione che abbiamo preso».
Insomma, solo la geografia ci può salvare.
«Sì, se torniamo a considerare quello che è sempre stata, al di là dello stereotipo. Ci hanno insegnato la critica della geografia, il sapere della carta muta. Che però è un sapere inessenziale. Valga per tutte la vecchia battuta del grande Alexander von Humboldt: quando nei salotti una signora gli chiese dove fosse Benares, la sua risposta fu: "Signora, io faccio il geografo, per la sua informazione basta un atlante". Humboldt voleva dire che la geografia è sempre stata la critica della mappa, non la descrizione e nemmeno la riduzione del mondo a una mappa. È un sapere straordinario: l´unico che ci permette di non fare della terra un cadavere. Perché ci fa recuperare la mobilità dei punti di vista e delle posizioni rispetto al mondo. Facendo l´amorosa genealogia di ciò che all´orizzonte si profila».