CLAUDIA MORGOGLIONE GIANCARLO DE CATALDO, la Repubblica 9/1/2011, 9 gennaio 2011
GLI ANGELI DEL CINEMA CON LA FACCIA SPORCA
Ci sono epoche di protagonisti sbirri ed epoche di protagonisti banditi. La nostra appartiene al secondo genere: più che farci paura, i cattivi ci seducono. Dipende dallo "spirito del tempo", o, meglio, dalla sua componente fondamentale: l´economia politica. In tempi di benessere il crime ci fornisce svago e distrazione. Il male è qualcosa di profondamente prevedibile, i cattivi sono stupidi e feroci, i buoni cavalieri senza macchia e senza paura. Sempre vincenti. Oppure, il male è alieno, oppure, ancora, una divertente alternativa alla noia del quotidiano: abbondano, da un lato, serial-killer e psicopatici, dall´altro simpatici ladruncoli, affascinanti truffatori dal sorriso smagliante.
Ma quando c´è la crisi, le cose cambiano. Il male torna un problema serio. Morde la strada. E spuntano come funghi rapinatori e mafiosi. La prima grande stagione del crime americano coincide, non a caso, con la prima grande crisi del capitalismo. I gangster schizzati di Bogart & Cagney sono figli del proibizionismo quanto del crollo di Wall Street. Lo scossone sociale generato dalla crisi porta all´affermazione di una nuova classe dirigente criminale nel duplice senso di "classe dirigente" e "fatta di criminali". I confini antropologici fra il gangster e l´uomo di Stato (notavano Horkheimer e Adorno) si assottigliano, sino a confondersi. L´antica legge dell´accumulazione selvaggia travolge ogni altro imperativo. In tempi di povertà, dunque, la scorciatoia del delitto è un´opzione di indubbia presa per masse dolenti che hanno perso ogni fiducia nel presente e ogni speranza nel futuro, e identificano il Nemico nel volto glaciale del banchiere che, con un tratto di penna, può rovinare migliaia di esistenze.
Quel tempo e il nostro presentano più di un tratto comune: la crisi, il pessimismo dilagante, la sensazione di uno strapotere della malavita, l´opzione criminale come alternativa sociale alla disperazione. Di più, e di diverso, c´è, oggi, l´esplicita ammirazione per lo stile di vita del bandito. Che è, e resta, uno stile fatto di arroganza, leaderismo, prevaricazione, sottomissione al capo carismatico, cioè al più forte e più ricco, più forte perché più spietato e più ricco. Eppure, i gadget criminali vanno a ruba, e trasformiamo in eroi popolari banditi che devastano per arricchirsi e se ne vantano. E questo accresce il loro fascino, agli occhi di molti. C´è in giro un´aria da «giochiamocela alla tutto e subito, qui e adesso». Possiamo persino vincere, potrei essere io il prescelto. Non è già successo? Non succede tutti i giorni? Ammirazione, si diceva. Ma ammirazione di sudditi, di vinti. Di perdenti rassegnati a un ineluttabile che si basa su un sillogismo tanto primitivo quanto efficace: i criminali hanno un sacco di soldi, coi soldi si comanda, i criminali comandano, meglio farseli amici che cercare, invano, di combatterli.
Qualcuno accusa gli scrittori di cose criminali: la violenza di strada sarebbe anche colpa dei modelli negativi che propongono alla gioventù. Ma il punto non è questo. Certo, ogni racconto criminale è per sua natura ambiguo: perché illustra la fascinazione del male, scava nel profondo, parla di sesso, distruttività, potere e morte, e ci sfida a gettare più di uno sguardo sugli abissi dell´inconscio. Ma il punto è che l´economia politica non si adegua ai modelli culturali: l´economia politica li impone. Se questo è lo stato delle cose, è inutile prendersela con chi il crimine lo racconta. A predicare morale e legalità siamo tutti buoni. Il difficile, semmai, è metterle in pratica.