MICHELE SMARGIASSI , la Repubblica 9/1/2011, 9 gennaio 2011
QUANDO C’ERA IL PCI - RIMINI 1991 L´ULTIMA SCISSIONE
Rimini, lunedì 4 febbraio 1991, ore 15. In un freddo capannone della Fiera, l´atto fondativo del partito post-comunista italiano è un bicchierino di Johnnie Walker buttato giù d´un colpo da Achille Occhetto, semplice delegato di Bologna. L´incredibile, anche se non l´impensabile, è accaduto: alla sua prima votazione, il Consiglio nazionale di un Pds ancora in fasce non ha eletto segretario il suo fondatore. Dieci voti meno del quorum di 274. Il Pds nasce decapitato, rancoroso e sconcertato. Si materializza un trafelato Walter Veltroni: «Achille, ci riconvochiamo e rivotiamo». E lui, gelido: «Cercatevi un altro segretario». Monta sull´auto blu, sparisce nell´aventino di Capalbio. Staccando i telefoni.
Nessuno canta vittoria. Non gli scissionisti di Rifondazione Comunista, che in un albergo del lungomare trepidano fondando un partito dal futuro altrettanto incerto. Non i "miglioristi", il cui avvertimento a Occhetto è andato fuori misura, sgretolando il bersaglio. Un patatrac, uno psicodramma che sarà rappezzato solo una settimana più tardi, a Roma.
Il tessitore sarà Massimo D´Alema che riuscirà a reinsediare sul trono un re ormai indebolito. Quindici mesi dopo la svolta della Bolognina, dieci mesi dopo il congresso dei pianti e degli abbracci di Bologna, la drammatica eppure emozionante eutanasia del Pci bene o male è terminata. Quando una Rimini umida e nebbiosa e perfino spruzzata di neve accoglie un migliaio di delegati del ventesimo e ultimo congresso comunista italiano i giochi sono già fatti: nel falò emotivo di 10.500 congressi di sezione il 72,3 per cento dei militanti ha scelto di sostituire la Falce-e-martello con la Quercia. Nella Perla dell´Adriatico si va per una cerimonia funebre destinata a mutarsi in un battesimo, ma liturgia e responsori sembrano già scritti. Il clima è sereno e ottimista, si vendono le spille con la Quercia, si organizzano cene di pesce e puntate in discoteca, i cronisti esibiscono la novità tecnologica del momento: i telefoni cellulari.
Ma questo è solo l´avanscena. I rapporti di potere nel nuovo partito, che aprirà alla novità scandalosa delle correnti, sono in realtà ancora fluidi, tutti da contrattare. Sulla carta Occhetto dispone di una maggioranza schiacciante: la sua mozione ha raccolto il 68,2 per cento, che la fuoriuscita di una larga parte del "fronte del no" di Cossutta e Garavini (26,5 per cento) renderà ancora più imponente, unica opposizione interna la "terza mozione" di Bassolino e Asor-Rosa col 5,2. Ma nascosti nel correntone occhettiano, al riparo da conte premature, stanno i "riformisti" di Giorgio Napolitano, stimati attorno al 15 per cento, che puntano a condizionare il segretario da destra.
Però forse nulla succederebbe senza i bagliori che vengono da Oriente. La prima Guerra del Golfo è scoppiata, le luci verdastre su Bagdad delle dirette Cnn incombono sul congresso più del fosco rosso del comunismo morente. Il 21 gennaio gli italiani hanno visto in tivù l´occhio pesto del capitano Cocciolone catturato da Saddam, i pacifisti sono in piazza e il Pds che ancora non c´è è già spaccato in due. Occhetto, che spera di trattenere Ingrao nella "Cosa" nuova, non vuole rinunciare alla richiesta di ritiro delle navi italiane e di tregua unilaterale. I miglioristi vedono in quella mozione lo spettro terribile di un Pds che nasce su un patto a sinistra, che li esclude.
Giovedì 31 gennaio Occhetto sale sul palco a tolda di nave disegnato dall´architetto De Ponte. Le scenografie sovietiche sono un ricordo, c´è molto verde-grigio e poco rosso che sfuma nell´arancio, bassa la tribuna della presidenza, la platea è un´arena. Parla per due ore e venti, «portiamo Gramsci con noi», dice «alternativa» dice «socialismo». Ma per la prima volta in un congresso del Pci non applaudono tutti. Il satirico Cuore è spietato: «Al congresso tutti d´accordo purché non si parli di politica». Il segretario Psi Bettino Craxi, seduto in tribuna accanto a Martelli e Amato, crocifigge Occhetto: «Confuso. Tina Anselmi ha più chance di lui di entrare nell´Internazionale socialista». I miglioristi sono sempre più nervosi. Venerdì il confronto ravvicinato tra Napolitano e Ingrao è epico, ma la battaglia vera non si fa sul palco. I carpentieri improvvisano nuove sale riunioni per il moltiplicarsi di riunioni riservate. «Qui fanno tutto le correnti» si allarma Paolo Flores d´Arcais, che con Massimo Cacciari guida gli "esterni", i "cofondatori" della "sinistra diffusa" sempre più marginali.
Le tattiche si alternano ai colpi di mano: svegliato nel cuore della notte, Occhetto strappa a delegati assonnati ed esausti l´approvazione a scatola chiusa dello statuto. Dove è nascosta la trappola: un Consiglio di oltre cinquecento membri, con vincolo della maggioranza assoluta per l´elezione del segretario. Un commosso Garavini intanto annuncia l´addio dei rifondatori, ma la scissione accolta nella spoglia "Sala E" al canto di Bandiera rossa e grida di «Viva il comunismo» a questo punto è la cosa più scontata del congresso. Con lui se ne vanno Cossutta, Serri, Salvato. Ingrao, soffrendo, resta nel Pds. Con lui un sindacalista di nome Fausto Bertinotti. Il nuovo partito nasce sulle note di De Gregori, La storia siamo noi, alle sette di sera di domenica, con l´affitto degli hangar fieristici ormai scaduto, mentre gli operai smontano le scenografie. Ma è con la mozione del Golfo, sulla quale riformisti e ingraiani si astengono, che Occhetto misura la sua forza: 59,9 per cento. Esultano incauti i "quarantenni", Mussi, Veltroni, Fassino, Petruccioli: «Siamo autosufficienti!». Incauti: il siluro di rivalsa è già puntato su un Occhetto che, lunedì mattina, pregusta tranquillo l´apoteosi in una hangar di fortuna pericolosamente decimato dalle partenze dei delegati. «Visto? Stavolta non ho pianto», scherza coi cronisti, «però, L´Unità poteva fare il titolo in rosso oggi...», «segretario della Quercia, suona imponente, no?» Poco lontano, terrea, la presidente del Congresso Giglia Tedesco ha già in mano i risultati dello scrutinio. E non sa come diglielo.