Danilo Mainardi, Corriere della Sera 11/01/2011, 11 gennaio 2011
UN COLPO DI FISCHIETTO. E I NEMICI SCAPPANO
La diversità della vita non smette di stupirci: ora è la volta del bruco fischiatore. Chi ne avrebbe mai supposto l’esistenza? E’, ci spiegano Veronica Bura e i suoi collaboratori dell’Università di Ottawa, quello della farfalla americana Amorpha juglandis. Questi studiosi ne hanno descritto gli straordinari «fischietti» — anatomia, funzionamento e funzione— sull’ultimo numero del Journal of Experimental Biology. Si tratta di un assai significativo caso di coevoluzione preda-predatore, uno di quegli esempi che ci raccontano e ci spiegano cosa realmente si intende quando si parla di biodiversità. Veniamo però al nostro bruco, che non avrebbe mai evoluto la sua inconsueta strategia antipredatoria se non fosse, e ne fosse stato da chissà quanto tempo, la preda preferita di esseri che, come senso altamente specializzato, hanno soprattutto l’udito. Certi uccelli canori, ovviamente. Fosse stato, quel bruco, abitualmente predato da mammiferi insettivori, gente cioè dotata di un olfatto raffinatissimo, avrebbe fatto senz’altro diversamente. Avrebbe evoluto una strategia del tipo di quella dei bruchi dei Macaoni, che possiedono un organo biforcuto, l’osmoterio, che emana un odore repellente. O ancora, se quel bruco avesse passato il suo tempo allo scoperto, porterebbe disegnate sul proprio corpo, come è il caso di quello della farfalla malese Ophideres fullonica, grandi macchie ocellari simili a occhi felini. Terrorizzerebbe così ogni uccello dalla vista acuta che se ne va alla sua ricerca scrutando qua e là. Messo a fuoco qual è il principale nemico, ogni preda evolve la controstrategia più appropriata. Il bruco di Amorpha juglandis, pertanto, risulta opportunamente dotato di certi originali fischietti naturali che sono la raffinata specializzazione di alcune aperture (gli stigmi), soltanto di alcune però, del suo apparato respiratorio, che a sua volta è rappresentato da tubicini noti come trachee. Così, sparando fuori l’aria quando è il caso, il bruco fa sì che i fischietti che si porta addosso facciano il loro lavoro. I suoni prodotti, come atteso, terrorizzano i piccoli uccelli che altrimenti userebbero quel bruco come pasto. Gli autori hanno fatto un gran lavoro di anatomia per descrivere la struttura di questi strumenti acustici naturali, hanno poi studiato le caratteristiche fisiche dei suoni emessi, ma soprattutto hanno compiuto decisivi esperimenti con predatori artificiali e naturali. Rappresentati, questi ultimi, da alcuni individui della specie Dendroica petechia. Tutti gli uccellini utilizzati, è risultato, appena identificate le loro prede le hanno aggredite ma poi, nell’udire i fischi da loro emessi, hanno fatto un improvviso balzo indietro e si sono dati ad una fuga senza ritorno. La strategia funziona, pertanto. Gli autori ricordano che, anche se solo i bruchi di Amorpha juglandis possiedono fischietti naturali, non sono pochi gli insetti che, attraverso altre strutture, producono, sia da bruchi che da adulti, suoni con funzione antipredatoria. E, al proposito, mi piace ricordare il caso interessante e significativo della farfalla Sfinge testa di morto (Acheronzia atropos). Farfalla che è solita introdursi negli alveari per rubare il miele prodotto dalle api, che ovviamente fanno di tutto per scacciarla. Il trucco escogitato dalla Sfinge è un particolare mimetismo acustico. Bisogna sapere che le api sanno emettere un suono stridente assai speciale che funziona reprimendo l’aggressività generale del gruppo. Un utile espediente per insetti socialissimi e al contempo provvisti di armi micidiali. Ebbene, la Sfinge sa emettere, quando si trova all’interno dell’alveare, suoni assai simili al segnale pacificante delle api. In questo modo può, quasi sempre, rimpinzarsi di miele e filar via, come si dice, senza pagar dazio. E mi piace, concludendo, sottolineare l’importanza di questo «quasi sempre» . E’su ciò che si basano i dinamici equilibri propri della biodiversità. A volte vince l’uno, a volte l’altro, ed così che, misurandosi, stanno al mondo tutt’e due.
Danilo Mainardi