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 2011  gennaio 09 Domenica calendario

Vitali: il campanile che ci portiamo dentro - È uno di quei giorni in cui il lago appare, agli occhi di chi non lo ama, come un invito a buttarcisi dentro

Vitali: il campanile che ci portiamo dentro - È uno di quei giorni in cui il lago appare, agli occhi di chi non lo ama, come un invito a buttarcisi dentro. Le nuvole sono basse, pioviggina, l’acqua ha il colore del piombo e naturalmente fa un freddo becco. L’umidità entra nelle ossa. Solo chi ha trascorso almeno un inverno intero sulle rive di un lago sa quanta noia, ma anche quanta pace, sia possibile distillare giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto. «Queste giornate fanno pensare che il lago sia un posto popolato da vecchi, da esauriti in cerca di quiete o da cornuti desiderosi di oblio», ci dice Andrea Vitali sulla passeggiata intitolata al bellanese illustre Tommaso Grossi. «Ma per me giornate così sono una meraviglia. Chi non le apprezza non capisce che cosa è il lago», sentenzia scuotendo il capo con aria di compatimento per chi preferisce il caldo, il sole, il mare esotico low cost. Sulle rive del Lario - sponda lecchese, la sua - Andrea Vitali, medico di famiglia di Bellano, ha ambientato tutti i suoi libri. Li hanno letti, negli ultimi otto anni, in due milioni. Un successo che ha fatto di Vitali - per usare una definizione ormai più che abusata ma ancora efficace - il vero erede di Piero Chiara. Gli chiedo se in paese ormai lo considerino più uno scrittore che un medico. «Nessuno dei due - risponde - perché sono nato qui e per tutti non sono né un medico né uno scrittore ma Andrea. Se qualcuno mi chiama dottor Vitali non mi giro, perché mi viene istintivo pensare che stiano rivolgendosi a qualcun altro». Gli chiedo anche se è mai stato tentato, visto che ormai è una fabbrica di bestseller a ripetizione, di abbandonare l’ambulatorio e fare il romanziere a tempo pieno. «No - assicura - perché almeno un lavoro serio bisogna averlo». Se ha scelto di raccontare solo storie del suo paese è perché è convinto che questo sia il classico microcosmo che spiega il macrocosmo. Insomma Bellano come la rappresentazione di un’umanità che non cambia né nel tempo né nello spazio, essendo immutabili in ogni bipede vizi e virtù, splendori e meschinità. Il mondo piccolo di Vitali è un palcoscenico popolato da personaggi pittoreschi. Il maestro Vergottini, prima cornetta e direttore della fanfara; il ragionier Onorato Geminazzi, la signorina Tecla Manzi, la guardia Firmato Bicicli, il corrispondente del giornale La Provincia Eugenio Pochezza, il maresciallo Ernesto Maccadò, la maga Eufrasia Sofistrà, il capostazione Amedeo Musante, il maniaco sessuale Edipo Medicetti, la prosperosa segretaria Emilia Personnini e il suo direttore Galimbelli ing. Luigi. Personaggi un po’ grotteschi, tipiche figure della provincia profonda, ma in fondo non tanto dissimili dai loro fratelli di ogni epoca e latitudine. Il nuovo romanzo da poco uscito (e già ristampato) da Garzanti s’intitola Il meccanico Landru (370 pagine, 18,60 euro) e come sta scritto in copertina narra la storia di «uno straniero dal nome bizzarro e con un passato misterioso, ma affascinante come un gaucho», che «porta lo scompiglio nella placida Bellano». È il tema, universale pure questo, dell’impatto portato da ogni forestiero. «Come al solito - racconta Andrea Vitali - mi sono ispirato a una storia vera. Quella, narrata dalla mia zia Paolina, di un meccanico venuto a Bellano dal Triveneto nel 1930 per montare i nuovi telai elettrici alla Filanda Gavazzi. Era soprannominato Landru, e questo gettava su di lui un’ombra sinistra. Da dove veniva? Che cosa aveva fatto? Si diceva che avesse seminato debiti e figli un po’ ovunque. I bellanesi lo accolsero con diffidenza; le bellanesi, invece, furono con lui più che accoglienti, visto che era un bell’uomo e un grande affabulatore. Qui uno venuto dal Triveneto, a quei tempi, era considerato uno straniero a tutti gli effetti. Così attorno a Landru si creò un’atmosfera al tempo stesso di sospetto e di curiosità. Ma Landru oltre alle donne finì presto per conquistare anche gli uomini perché era un formidabile centrattacco e il capo dei fascisti di Bellano ne approfittò per risollevare le sorti della squadra del partito, che collezionava sconfitte su sconfitte con la squadra dell’Azione cattolica e, quel che è più grave, con la squadra di Dervio, il paese vicino. Cosa imperdonabile, visto il campanilismo che imperversa da queste parti». Ancora oggi c’è diffidenza verso chi viene da fuori? «Secondo me - dice Vitali - in gran parte il campanilismo è un ricordo del passato. Però sarebbe ipocrita negare che qualcosa è rimasto dentro ciascuno di noi. Se mio figlio portasse a casa una fidanzata di Dervio, confesso che un po’ mi girerebbero. Devo dirla tutta? Tra i miei pazienti ci sono anche diversi extracomunitari. All’inizio, quando ti si presentano le prime volte, una reazione come di allarme la provi. Però poi la realtà ti costringe a capire che certi pensieri sono solo fantasmi partoriti da chissà quali luoghi oscuri della mente. Quando conosci il forestiero ti accorgi che è prima di tutto un uomo come te; e in seconda battuta, magari, ti accorgi pure che è una persona più sfortunata di te. Così dalla diffidenza passi all’accoglienza e alla solidarietà». Ma che cosa prevale oggi? La diffidenza o l’accoglienza? «Secondo me l’accoglienza. Io non credo che l’Italia sia un Paese razzista. Guarda, i figli degli immigrati che vivono qui a Bellano parlano in dialetto meglio di me. Io sono convinto che si siano, come si dice, integrati bene». Certamente più del meccanico Landru, che come raccontava la zia Paolina un giorno se ne sparì, tornando nel mistero dal quale veniva, e lasciando al cimitero una sua finta tomba con un biglietto: «Qui abitò Landru di Bellano, che per non pagare i debiti se ne fuggì lontano».