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 2011  gennaio 11 Martedì calendario

Vittorio Emanuele III sapeva dire di no a Facta Ma non a Mussolini - Caro Cervi, in considerazione della grande stima che ho per lei, mi permetto di disturbarla per avere il suo parere su un fatto che è oggetto di valutazioni opposte

Vittorio Emanuele III sapeva dire di no a Facta Ma non a Mussolini - Caro Cervi, in considerazione della grande stima che ho per lei, mi permetto di disturbarla per avere il suo parere su un fatto che è oggetto di valutazioni opposte. Il rifiuto opposto il 28 ottobre del 1922 dal Re Vittorio Emanuele III alla firma dello stato d’assedio, richiestogli da Facta e dal suo governo, è ritenuto dalla maggioranza degli studiosi come un errore gravissimo del Sovrano, che così aprì le porte ai fascisti. È indubbio però che nel periodo compreso tra la fine del conflitto mondiale e l’ottobre del 1922 l’Italia si trovasse in uno stato di caos indescrivibile, con un governo incapace di far sentire la propria presenza... In tali condizioni la maggioranza degli italiani intravedeva nel movimento fascista e, soprattutto, nella persona di Mussolini un riscatto e un possibile ritorno alla normalità. È lecito a questo punto chiedersi che cosa sarebbe successo se il Re avesse aderito alla richieste di Facta. Certamente si sarebbe scatenata una guerra civile e anche se il movimento fascista fosse risultato soccombente si sarebbe protratta la situazione di sfascio preesistente, con tutti gli incalcolabili disastri conse­guenti. A mio avviso il re preferì scegliere il male minore, convinto che ritornata la normalità il fascismo avrebbe perso la sua forza propulsiva ; non gli si può comunque addebitare colpa alcuna, ma è doveroso riconoscergli il merito e il coraggio di aver agito, nella difficile situazione, per il bene della Nazione. Bruno Pandolfi e-mail Caro Pandolfi, con i se, lo sappiamo tutti, è possibile immaginare un’infinità di avvincenti trame storiche. Lei si chiede cosa sarebbe successo se Vittorio Emanuele III avesse firmato lo stato d’assedio propo­sto da Luigi Facta, e risponde che l’Italia sarebbe stata sconvolta da una devastante guerra civile. Molti storici non sono d’accor­do sullo stato di «caos indescrivibile», per usare le sue parole, del Paese: e ritengono che l’ondata sovversiva si fosse ormai molto attenuata così che - a esempio - un ritorno del vecchio Giolitti avrebbe consentito di ristabilire la normalità. Si tratta di valutazioni discutibili, non di verità assolute. Personalmente sono anch’io del parere che tutto sommato la scelta del Re, molto criticabile dal punto di vista dell’ortodossia costituzionale, sia stata in pratica abbastanza saggia. Facta non era uomo che potesse affrontare una crisi di prima grandezza. Ci voleva la genialità irridente di Mario Missiroli, nei momenti di marasma del potere democristiano, per dire perfidamente: «Questi sono mollaccioni, occorrerebbe un uomo di polso, oc­correrebbe un Facta!». Sicuramente Vittorio Emanuele III riteneva - come tantissimi altri - che il fascismo fosse un fenomeno a corto raggio, e che la politica politicante avrebbe presto ingoiato anche Mussolini. Sappiamo che le cose andarono ben diversamente, ma nessu­no pretende che il Re fosse profeta. Piuttosto muovo alla diagno­si della sua lettera un’obiezione. Non è che Vittorio Emanuele III si impose, in quella circostanza, solo perché aveva a che fare con un pover’uomo, onesto e modesto? Se non fosse stato così, il decisionismo che sfoggiò per lo stato d’assedio avrebbe dovu­to dimostrarlo anche quando gli furono presentate, per la firma, le leggi razziali e la dichiarazione di guerra che trascinò l’Italia nel conflitto mondiale e l’avvio verso la sconfitta e verso l’igno­minia dell’ 8 settembre. Quelli sarebbero stati dei no provviden­ziali. Ma per queste firme non dovette vedersela con Facta, do­vette vedersela con il Duce.