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 2011  gennaio 11 Martedì calendario

«Ecco perché il mio Duce sbancherà gli Usa» - «Certo che sono sorpreso. Non me l’aspettavo. Vincere è un film di un anno e mezzo fa

«Ecco perché il mio Duce sbancherà gli Usa» - «Certo che sono sorpreso. Non me l’aspettavo. Vincere è un film di un anno e mezzo fa. Non abbiamo fatto una partico­lare campagna promozionale. Ci ha pensato la produzione, ha trovato un distributore america­no, io me ne sono disinteressa­to. Sì, mi dicevano che l’acco­glienza era positiva. Che la me­dia dei giudizi della critica era al­ta. Però...». Smaltite le feste, nel­la sua casa di Roma Marco Bel­locchio sta riflettendo sul suo prossimo film che potrebbe ri­guardare Tangentopoli. Ma la notizia del «tifo» dei critici del New York Times che, con proce­dura particolarmente insolita, spingono per la candidatura al­l’Oscar dell’opera in cui ha rac­contato la vicenda di Ida Dalser, l’amante che diede un figlio a Mussolini (Benito Albino) e che finì i suoi giorni in un manico­mio, è un gran buon viatico per il 2011. Giovanna Mezzogiorno è già stata nominata «best actress» dai critici americani mentre si saprà solo il 25 genna­­io se il film, uscito negli Stati Uni­ti nel 2010, concorrerà per la conquista della prestigiosa sta­tuetta nella categoria del mi­glior film assoluto. «Ma no, me­glio essere prudenti. Per l’Oscar siamo in zona Cesarini», smor­za l’entusiasmo Bellocchio, co­me a f­ar intendere che l’apprez­zamento proveniente da oltreo­ceano è già in sé una soddisfazio­ne. «Per chi fa un lavoro impic­ciato e mescolato come il mio, una notizia così è uno stimolo ad andare avanti per la nostra strada». Ma secondo lei, oltre agli at­tori, che cosa è piaciuto di più agli americani? La sto­ria o la forma del raccon­to? «Entrambe le cose, credo: la bravura degli interpreti e la qua­lità intrinseca del film. Non di­mentichiamo che Mussolini è stato fino a un certo punto del re­gime un persona­ggio molto ap­prezzato e ammirato dalla colo­nia di italiani in America. Poi purtroppo sono arrivate le leggi razziali e la guerra... Però tra i personaggi italiani forse è il più conosciuto all’estero. Probabil­mente è piaciuto anche lo stile narrativo. In tutta sincerità, va detto che il film è stato proietta­to soprattutto nelle sale d’ essai , non esattamente nei circuiti po­polari ». Del cinema italiano gli americani sembrano ap­prezzare soprattutto il peri­odo della Seconda Guerra mondiale come dimostra­no gli Oscar a Mediterra­neo e La vita è bella . Ora si parla di Vincere ... «Questo forse dipende dal­l’età dei votanti dell’Academy. Sento dire che sono persone an­ziane, un po’ tradizionaliste. È plausibile che amino il cinema della memoria, della storia, an­che se Vincere è tutt’altro che un film nostalgico. È un cinema del presente che parla del passato. Com’era anche Nuovo Cinema Paradiso ». Che cosa pensa dell’attac­co di Luca Guadagnino a La prima cosa bella di Pao­lo Virzì, nostro candidato ufficiale tra i film stranie­ri? «C’è una giuria nella quale contano i rapporti di forza. Que­sta giuria dovrebbe intuire qua­le opera italiana abbia maggiori chance per puntare all’Oscar. Il film di Guadagnino aveva già ot­tenuto buoni riscontri. Spesso però prevalgono i gusti dei giura­ti e la legge del più forte. L’anno scorso, tra Baarìa e Vincere fu scelto Baarìa prodotto da Medu­sa. Con questo non ho nulla da dire sul film di Virzì, al quale au­guro di ottenere il massimo. Tut­tavia, la mia esperienza dell’an­no scorso è stata questa». Dunque la nomination del­la critica americana è una specie di rivincita... «In un certo senso. Sono an­che felice per i riconoscimenti meritati da Giovanna Mezzo­giorno. Ma sa, uno dei vantaggi dell’età è anche un certodistac­co. Se avessi vent’anni vivrei tut­to con maggior spirito di rival­sa ». A proposito di polemiche, il movimento «Tutti a ca­sa » non è troppo ideologiz­zato? «Una dose di ideologia forse è rimasta come reperto antico. Pe­rò si è attenuata. Ma non dobbia­mo dimenticare il contesto in cui viviamo. Anche il cinema su­bi­sce i processi della globalizza­zione. Si spostano le produzioni all’estero e i nostri lavoratori si sentono abbandonati. In una si­tu­azione di smarrimento e di di­soccupazione il movimento “Tutti a casa”è affine a quello de­gli studenti che salgono sui tetti. Poi c’è un gruppo di professioni­sti che per la loro storia hanno più facilità a trovare un contrat­to, a trovare un produttore». Che cosa pensa del fatto che mentre calano i fondi del Fus, crescono gli incas­si al cinema italiano? «Questo bisognerebbe chie­derlo agli studiosi, ai sociologi­ci. Forse è la domanda che è di­versa. In epoche di crisi e di diffi­coltà, la gente vuol dimenticare, cerca di evadere, di divertirsi. E il cinema è una via d’uscita sicu­ra ». È la ragione del successo di commedie come «Benve­nuti al sud» e «Che bella giornata» ... «Assolutamente. Questa non è la stagione della commedia provocatoria, cattiva, contro il potere. Ma di film concilianti, ca­paci di mitigare i contrasti. Tut­tavia, chi fa cinema d’autore sba­g­lierebbe a interrompere il pro­prio percorso». Lei continua la sua indagi­ne sull’Italia del ’900. Ha raccontato il ’68, il terrori­smo con «Buongiorno, not­te », poi un episodio oscuro dell’epoca di Mussolini. Che ne è del progetto su Craxi e Tangentopoli? «Un regista non è un giornali­­sta né uno scrittore. Se parto dal­la realtà tendo un po’ a stravol­gerla. Come uno sportivo anche un regista deve tenersi in eserci­zio: incontrare gli attori, studia­re le riprese, fare i film. Il proget­to di Italia mia sulla stagione di Tangentopoli si è imbattuto in alcune risposte negative. Ma c’è ancora qualche speranza. In ogni caso non sarebbe un pam­phlet polemico sul passato per parlare del sistema di potere at­tuale. Nei prossimi giorni saprò se potrò andare avanti. Altri­menti mi dedicherò ad altro».