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 2011  gennaio 11 Martedì calendario

CHERNOBYL DIVENTA META TURISTICA


Chernobyl. Il governo ucraino ha annunciato l’apertura al turismo della Zona di Esclusione attorno alla centrale nucleare di Chernobyl. L’area ha una superficie come quella della provincia di Roma. Essa circonda il reattore esploso il 26 aprile 1986 e che, dopo l’evacuazione della popolazione, è rimasta chiusa, presidiata da militari.Qualche forma di turismo nella Zona già c’è.
Nel 2002, due anni dopo la chiusura dell’ultimo dei tre reattori gemelli a quello esploso, e ancora funzionanti dopo l’incidente, alcuni imprenditori di Kiev hanno ideato dei pacchetti turistici, proponendo dalle gite di mezza giornata fino a soggiorni con pernottamento di una notte a Chernobyl. Circa un migliaio di visitatori all’anno. Fiutato il business, in previsione del flusso di arrivi collegato ai campionati europei di calcio che l’Ucraina ospiterà nel 2012, il governo di Kiev ha deciso di sfilare ai privati questa attività. Chernobyl esercita il suo fascino perverso su un variegato campionario di cittadini prevalentemente europei. Essi sono: antinuclearisti in cerca di conferme, fotografi a caccia di immagini graffianti, nostalgici che inseguono la suggestione di una cittadina-modello di stampo sovietico. Ci sono anche delle coppie che si fanno fotografare davanti al sarcofago del reattore N.4. Si spende 130 dollari per la visita di gruppo (12 persone). Fino ai 500 dollari per un’escursione privata sempre sotto stretta sorveglianza di una guida. Unico requisito: un passaporto. Tutte le formalità si sbrigano via web fino all’appuntamento nella piazza centrale di Kiev. Dopo due ore di pulmino, si è sul posto dove sfilano abitazioni abbandonate, intervallate da territori dominati da una vegetazione rigogliosa che favorisce la riproduzione delle specie animali come lupi, alci, cicogne, cavalli: 25 anni dopo, Chernobyl è diventato un eco-sistema naturalistico. Un quarto di secolo fa la situazione era ben diversa. La bonifica ha richiesto il lavoro di 9 mila uomini per rimuovere più di 240 mila tonnellate di detriti, nel sollevamento del manto stradale, nel disboscamento delle conifere contaminate, poi sepolte a 6-8 metri di profondità. Le proporzioni dell’apocalisse si percepiscono davanti al monumento alla memoria dei 29 pompieri, i primi a recarsi sul posto cercando invano di domare un incendio che richiese 7 mesi di interventi. Allora era sufficiente sorvolare per 15 minuti l’area in fiamme per assorbire una dose radioattiva letale. Da allora i valori si sono ridotti di 5 mila volte. Oggi la radiazione ambientale varia dai 0,1 ai 0,5 microSievert/ora. Tradotto su base annua, equivale a 0,8-4,4 milliSievert.Per intendersi, mediamente la radiazione di fondo in Italia è intorno ai 3 milliSievert/anno ma nel Viterbese o a Campi Flegrei, le radiazioni sono 2-3 volte più elevate. A 200 metri dal reattore 4, l’allarme sonoro del dosimetro echeggia con insistenza: 0,7microSievert/ora ossia 6,2 milliSievert/anno, l’equivalente delle radiazioni ionizzanti che si assumono con una Tac e mezza. A questi livelli il rischio nasce solo dall’esposizione prolungata: la visita non comporta rischi per la salute purché si rispettino certe regole come rimanere sul cemento piuttosto che sulla terra, non toccare nulla, soprattutto non il muschio, eccezionale ricettacolo di radiazioni. A ogni buon conto, i visitatori firmano una liberatoria che preclude ongi contenzioso e s’impegnano a non trafugare souvenir. Ogni infrazione viene facilmente individuata al controllo in uscita con il passaggio in un dosimetro che misura le radiazioni assorbite. Si percorre la Zona di Esclusione a bordo di pulmini e si scende a tappe predefinite scortati ma senza protezione particolare se non normali scarpe chiuse. Dal 2008, il cimitero di mezzi corazzati ed elicotteri militari impiegati per domare il fuoco, è invalicabile a causa di furti di metallo con radioattività letali. L’attuale immagine di devastazione è principalmente l’effetto dei saccheggi e vandalismo perpetrati dopo la partenza dei 100 mila sfollati. Geograficamente il reattore esploso è equidistante a sud da Chernobyl, borgo abitato all’epoca dai dipendenti dell’impianto e a est da Pripyat, città fantasma. Colpiscono i simboli di un’epoca tramontata come i lampioni stradali con falce e martello, i murales inneggianti alle conquiste degli scienziati. Siccome i rilasci radioattivi si spostano nella direzione dei venti dominanti, i 49 mila cittadini di Pripyat furono investiti in pieno dalla nube radioattiva che risparmiò invece Chernobyl. Sono le vittime sacrificali dell’arroganza di un regime che, sottovalutando l’incidente, tenne all’oscuro la popolazione. L’evacuazione di Pripyat che avvenne in solo 3 ore ma ben 36 ore dopo l’incidente. La Zona di Esclusione si sta ripopolando: 300 coloni sono tornati a vivere nel raggio di 30 km dalla centrale. Ogni giorno 8 mila persone fanno i pendolari tra Slavutych, città sorta dal nulla a 50 km (ora Bielorussia) e la zona di esclusione. Tra questi, ci sono i 900 operai che lavorano alla costruzione della gigantesca struttura in acciaio di confinamento del reattore 4 ora coperto da un sarcofago di cemento, per permettere le operazioni di smantellamento senza rischi di contaminazione ambientale. Appaltata al consorzio francese Novarka, l’opera ha l’altezza di un edificio di 30 piani e costa 856 milioni di euro, finanziati principalmente dalla Commissione europea e dagli Usa. La struttura assemblata a lato del reattore, gli sarà fatta slittare sopra scivolando su delle rotaie.