Franco Cordero, la Repubblica 11/1/2011, 11 gennaio 2011
LA SCIENZA DEI MOSTRI
Esiste una scienza dei mostri, teratologia, e la Consulta v´interloquirà a proposito del «legittimo impedimento», grazie al quale il premier naviga incolume, intoccabile dai tribunali, avendo perso due scudi immunitari. Stando alle voci, corrono mediazioni intese a una decisione timida, che salvi il piccolo mostro con qualche ritocco cosmetico. Dio sa come, se i tre poteri sono separati: l´insigne consesso non legifera né formula letture vincolanti; è un chirurgo che amputa i prodotti invalidi. L´elemento controvertibile esce intatto o cade, tutto ovvero in parte; tertium non datur.
Le cosiddette sentenze additive rientrano nella seconda classe perché rimuovendo limiti espressi o impliciti, estendono l´effetto normativo. Così lavora la Corte, su formule testuali o enucleabili dal testo. Ovviamente lo interpreta, attribuendo un senso alle parole, ma dove non dichiara illegittimo il tal articolo o comma, i suoi discorsi sono opinione più o meno persuasiva. Fossero vincolanti, sarebbe interpretazione autentica ossia atto legislativo; forse l´oracolo influisce nel processo da cui è nata la questione d´illegittimità, sebbene in materia non vigano regole.
Consideriamo un precedente famoso, anni sessanta. La difesa era esclusa dal procedimento istruttorio, finché gli artt. 304-bis, ter, quater l´ammettono cautamente. Una Cassazione retriva non li ritiene applicabili ai casi istruiti dal pubblico ministero: esclusione erronea, afferma Corte cost. 4 febbraio 1965 n. 11, ma il vertice togato ribadisce l´assunto negativo; è affare suo intendere i codici; e la prassi resterebbe qual era se il responso 16 giugno 1965 n. 52 non rompesse lo stallo colpendo quegli articoli «nella parte in cui» l´altra Corte vi fondava una giurisprudenza illiberale. Classica decisione «additiva».
Supponiamo che stavolta (13 gennaio) la risposta sia: «intendiamo l´art. 1 l. 7 aprile 2010 n. 51 nel senso che spetti al giudice valutare l´impedimento; dunque, niente d´eccepibile rispetto all´art. 3 Cost». Tipica sentenza «interpretativa di rigetto»: l´indaffaratissimo «Uomo del fare» era immune de facto e lo rimane; appena alleghi uno degl´innumerevoli incombenti escogitabili nel repertorio ministeriale, il tribunale rinvia, essendovi costretto; non ha i mezzi con cui frugare negl´interna corporis governativi; e se procede, l´ipotetica lesione del contraddittorio sarà usata come causa d´una nullità contagiosa (art. 180 c. p. p.). La lettura edificante resta lettera morta.
Ma che le parole non siano interpretabili così, lo vede ogni conoscitore del lessico italiano, attento al recente teatro politico: squadre parlamentari le hanno compitate pesando ogni sillaba; volevano una stasi automaticamente operabile, altrimenti sarebbe stata fatica inutile. L´incipit batte colpi di grancassa: «costituisce legittimo impedimento... il concomitante esercizio d´una o più» delle tante funzioni attribuite al presidente del Consiglio; idem le attività che vi preludono e seguono. Ora, togliendo l´automatismo, squagliamo la legge: non rimane nemmeno un´ombra d´effetto normativo; i reali impedimenti da lavoro ministeriale, valutati nei singoli casi, motivavano il rinvio. Chi lo nega? Dirlo puntigliosamente è loquela vana, nonché ridicola, come se Camere disoccupate interpolassero nel codice penale chiose pseudointegrative dell´art. 575: «sia chiaro, costituisce omicidio ogni atto che sopprima i processi vitali d´un corpo umano». Rabelais immaginava stramberie simili nella satira dei costumi giudiziari d´allora.
L´art. 1, comma 3, usa parole secche, dal taglio imperativo: addotto l´impedimento, «il giudice... rinvia»; il comma 4 gli lega ancora più strettamente le mani esigendo che fissi un´udienza successiva alla durata dell´incombente continuato, nella misura asserita dall´instante. Testo chiarissimo, altrettanto la sua storia. L´abbiamo visto nascere dalle ceneri del cosiddetto lodo Alfano, del quale è un furbesco surrogato. Insomma, non sta in piedi l´ipotesi postulata dall´ipotetico «rigetto interpretativo».
Colpire il parvum monstrum «nella parte in cui» contiene norme invalide, sarebbe conclusione buona d´un discorso involuto. Notavamo come, tolti gli automatismi, la l. 7 aprile 2010 sparisca: torniamo all´art. 420-ter c. p. p.; l´impedimento a comparire vale in quanto causi un´«assoluta impossibilità»; e se esista, lo stabilisce l´organo giudiziario secondo criteri sindacabili dalle parti nella dialettica del contraddittorio. L´iter implica dei rischi, perché l´interessato dissente sul relativo punto, ma è la solita alea giudiziaria. Uno spera che anche nelle sedi ulteriori la questione sia risolta comme il faut. L´esorcismo migliore sta nel discorso diretto: è legge invalida; sotto la maschera dell´impedimento, regolato in tal modo da garantire stasi automatiche, contrabbanda un privilegio d´immunità lesivo dell´eguaglianza.
Ancora trent´anni fa, quando l´Olonese emerge sotto ali craxiane nella pirateria delle televisioni, troverebbe poca audience chi pronosticasse gli eventi attuali: il vizio organico stava nei cromosomi e non erompe d´un colpo; lo stravolgimento avviene in tempi lunghi; gli assuefatti non l´avvertono. La cronaca politica diventa favola alquanto nera: convulsioni in Rutulia; «Stylus» (rivista letteraria chic che Edgar Allan Poe progettava negli ultimi due anni d´una vita corta e infelice) ha mandato un corrispondente, il cui ultimo dispaccio descrive lo scenario in metafora mitologica, «paura del Minotauro».