Giornali vari, 10 gennaio 2011
Anno VIII – Trecentocinquantacinquesima settimanaDal 3 al 10 gennaio 2011Maghreb I prezzi di olio, zucchero, farina sono aumentati anche del 50 per cento e così il Maghreb è in rivolta, in Algeria i morti sono almeno cinque, in Tunisia, secondo Radio Kalima, addirittura cinquanta
Anno VIII – Trecentocinquantacinquesima settimana
Dal 3 al 10 gennaio 2011
Maghreb I prezzi di olio, zucchero, farina sono aumentati anche del 50 per cento e così il Maghreb è in rivolta, in Algeria i morti sono almeno cinque, in Tunisia, secondo Radio Kalima, addirittura cinquanta. Un calmiere, adottato in tutta fretta, ha momentaneamente ridotto il caro-vita, ma senza placare il popolo. A scendere in piazza sono soprattutto masse di giovani, privi a quanto pare di speranza. La rivolta è cominciata a metà dicembre: a Sidi Bouzid, 265 chilometri di Tunisi, la polizia ha sequestrato il carretto con cui il giovane Mohamed Bouazizi campava la vita: costui, come molti in quei paesi, era in possesso di un inutile laurea, ma non del permesso di vendere. Al sequestro ha reagito piazzandosi davanti al municipio e dandosi fuoco. Da allora ci sono state altre torce umane e una serie di manifestazioni che si sono rapidamente estese dalla periferia alla capitale. La polizia, sia in Algeria che in Tunisia, ha sparato sulla folla, persino su un corteo che seguiva un funerale. Il rincaro dei prezzi, specialmente dei cereali, ha origine lontane: la siccità in Russia e in Kazakhistan, le inondazioni in Europa, Canada e Australia, il rebus della produzione argentina. La crisi dell’Occidente ha poi fatto la sua parte: meno commesse, meno rimesse dagli emigrati in Europa. La miseria è invece il risultato della politica messa in atto dai due regimi. Specialmente l’Algeria sarebbe una nazione ricchissima: 12 miliardi di barili di petrolio, riserve di gas, giacimenti di oro. Un patrimonio poco sfruttato per insipienza e per calcolo, e i cui proventi arricchiscono esclusivamente la cricca al potere. Tunisia e Algeria sono paesi dall’età media molto bassa, in cui cioè la maggior parte della popolazione ha meno di 35 anni. Questi giovani vedono tra l’altro la nostra televisione, si specchiano in una realtà che, a pochi chilometri di distanza, appare incredibilmente opulenta.
Sudan Il Sudan meridionale sta votando un referendum che prevede un distacco del Sud dal Nord. Le elezioni dureranno un settimana, lo spoglio delle schede un mese. I morti sono già otto. Le consultazioni sono il risultato di accordi che risalgono al 2005 e che allora posero fine a una lunga, sanguinosa guerra. Il Sudan, dominato dal dittatore Bashir (quello dei massacri nel Darfur), è in mano alla Cina, che ne compra a caro prezzo il petrolio. Il distacco del Sud è invece un’operazione sostenuta dagli americani, che non hanno certo rinunciato al controllo dell’area. Le ricchezze – acqua e greggio - sono soprattutto nel meridione, che è però il posto più povero del mondo, senza strade, senza infrastrutture, meno di un dollaro al giorno per campare. L’unico oleodotto finisce al Nord, quasi nessuno sa leggere e scrivere. Il potere nel nuovo paese – il cinquantaquattresimo in Africa - verrà preso da una masnada di militari analfabeti. Vi saranno poi accordi con l’Etiopia e questi avranno conseguenze destabilizzanti sull’intero sistema delle alleanze africane. Tra l’altro, in quel continente, molti stati – per esempio il Congo, dove si voterà alla fine dell’anno - hanno un sud con ambizioni secessioniste e il referendum sudanese – dove si prevede una larga vittoria dell’opzione scissionista – potrebbe innescare una reazione a catena, con guerre civili ecc.
Cina I cinesi stanno vendendo dollari e comprando euro, cioè diminuiscono la loro esposizione sul debito americano comprando titoli inglesi, tedeschi, greci, spagnoli, portoghesi e anche italiani. L’idea generale è di impedire una crisi sul nostro continente che rimetta in auge il dollaro, facendolo magari tornare unica moneta di riferimento per gli affari mondiali. Il presidente Hu Jintao punta a una riforma del sistema monetario globale. Il vicepremier cinese Li Keqiang è appena rientrato a Pechino con la borsa gonfia di contratti sottoscritti con Berlino e Madrid. A Lisbona, da settimane, non si parla d’altro che del sostegno cinese a quella traballante economia, pronta a quanto pare a chiedere l’aiuto dell’Unione europea.
Tremonti La contrapposizione fra Tremonti e Berlusconi è ormai un dato acquisito, di cui i giornali parlano apertamente. Tremonti ha detto a Parigi che la crisi non è affatto finita «abbattuto un mostro, subito se ne può presentare un altro», Berlusconi vuole invece che i cordoni della borsa siano allentati soprattutto per varare quei provvedimenti in favore delle famiglie che potrebbero ammorbidire l’Udc (dieci-dodici miliardi, di cui il ministro nega almeno per ora l’esistenza). Casini, attraverso un’intervista al “Corriere della Sera”, ha offerto un “patto di pacificazione”, formula che tradotta significa: tu fai le leggi che piacciono a noi e noi ti voteremo. Bossi ha detto che o gli ultimi decreti sul federalismo passano entro il 23 gennaio oppure si va a votare. Mentre il premier continua a cercare quei dieci-quindici deputati che gli permetterebbero di restare in piedi, l’ipotesi di un dopo-Berlusconi senza passaggio elettorale, con Tremonti a palazzo Chigi e una coalizione multicolore a sostenerlo, è ancora in piedi.
Fiat Tensione a Torino, dove alla fine della settimana gli operai della Mirafiori votano sull’accordo-diktat di Marchionne. Sul cavalcavia semicentrale di corso Germano Sommellier è apparsa la stella a cinque punte delle Brigate rosse e la scritta «Marchionne fottiti». I sindacati condannano, la polizia è prudente: potrebbe anche trattarsi di una ragazzata. La Cisl e gli altri firmatari dell’accordo prevedono una vittoria molto ampia dei sì, il 70 se non addirittura il 90 per cento. Cgil nazionale e Fiom, senza spaccarsi, sono però su posizioni diverse soprattutto sulla tattica da adottare dopo: se la Fiom non firma, non avrà rappresentanti in fabbrica. La posizione del vertice Fiom è per ora netta: quel testo non si può sottoscrivere. Camusso pensa invece che una strada per recuperare almeno la rappresentanza debba essere trovata. Si parla della possibilità di firme a livello locale, insomma di una silenziosa messa in discussione, dalla struttura periferica torinese, dei vertici metalmeccanici e delle loro rigidità.
Arizona A Tucson, in Arizona, sabato mattina verso le 10, la deputata Gabrielle Giffords, 40 anni, stava tenendo un comizio in un supermercato quando, dalla piccola folla, un ragazzo di 22 anni ha preso a insultarla e, subito dopo, le ha sparato in testa con una Glock calibro 9, poi ha tirato su quelli che lo circondavano e ne ha ammazzati sei e tra questi c’è Christine Taylor Green, una bambina di nove anni. La Giffords, una democratica moderata che ha difeso il diritto degli americani di portare armi (posizione di destra), ma è favorevole all’aborto (posizione di sinistra), portata in ospedale è stata operata al capo e dovrebbe sopravvivere. Il pluriomicida si chiama Jared Lee Loughner, in casa sua a Tucson la polizia ha trovato foglietti in cui è descritto il piano dell’attentato. Professori e compagni di scuola lo dipingono come uno strano e che faceva discorsi strani, isolato, asociale eccetera. Al momento, sembra che abbia fatto tutto da sé, che non ci sia cioè alle sue spalle una qualche organizzazione politico-criminale. La storia della bambina morta è particolarmente patetica: era nata l’11 settembre 2001 e la fotografa Christina Pisera Naman l’aveva messa in un suo libro contenente i ritratti di 50 piccoli nati quel giorno. Titolo del volume: “Face of Hope”, “Volto della Speranza”.