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 2011  gennaio 10 Lunedì calendario

Barco Olias

• 1970 (~) Regista. Nel 2010 ha vinto con Kill me please il Festival di Roma • «[...] francese emigrato in Belgio [...] Racconta la genesi del film: “L’eutanasia è un tema a cui penso da quando mio cugino, a 16 anni si tolse la vita”. Smentisce di aver tentato lui stesso il suicidio [...] “Dopo le stroncature al mio primo film, Snowboard, girato nel 2003 per soldi, a farla finita ci ho solo pensato”. Barco è volato in America, ha girato un videoclip con Ray Charles, poi è stato chiamato in Belgio dai produttori: “Gli unici capaci di apprezzare l’umorismo nero e il soggetto” [...] Girato in tre settimane e con pochi soldi, Kill me please mette in scena l’impossibilità di controllare la morte, di ridurla ad atto consumistico. Il dottor Kruger (Aurelien Recoing) gestisce una clinica, che gode di soldi pubblici, per trasformare il suicidio da tragedia ad atto medicalmente assistito. L’idea attrae un gruppo di strani e facoltosi pazienti (Freaks è un altro film di riferimento). Ma la routine del trapasso (c’è un professore che s’avvelena bevendo champagne e durante un amplesso con una giovane prostituta), s’inceppa. E la morte, imprevedibile, torna a condurre il gioco, in un crescendo grandguignolesco mitigato dal bianco e nero (“scelta economica - confessa l’autore - per fare il sangue è bastato usare il Nesquik”). “Mi ha colpito leggere di gruppi di giovani giapponesi che si davano appuntamento per buttarsi sotto la metro. Ho fatto studi su cliniche come la Exit e la Dignitas, in Svizzera. In Canada c’è davvero uno studio dell’università sui costi sociali del suicidio: 850 mila di dollari ogni vita tolta, moltiplicata per un milione di volte [...] Mentre nella Exit si accettano solo malati terminali, alla Dignitas la dottoressa Minnelli equipara la depressione al cancro e giustifica il ricorso al penthotal. Mi chiedo: crede di essere Dio? Fino a che punto si può autorizzare socialmente la morte? Per me la morte è una scelta individuale”. In Kill me please gli aspiranti suicidi si rivelano attaccati alla vita: per Barco nel futuro prossimo, “il capitalismo ci farà credere di poter ‘espletare’ il trapasso come una formalità medica in cliniche turistiche per soli ricchi”. [...]» (Arianna Finos, “la Repubblica” 4/11/2010).