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 2011  gennaio 10 Lunedì calendario

MENO TASSE SULLA CASA TRENO DA NON PERDERE

Il voto della Commis­sione bicamerale sui decreti attuativi del fe­deralismo, previsto per i prossimi giorni, non è affatto una sfida decisi­va, come alcuni commen­tatori vogliono far crede­re. Infatti non si tratta di un voto su una legge, ma di un parere non vincolan­te su decreti di attuazione di leggi già approvate. Si potrebbe sostenere che può suonare comun­que come un giudizio poli­tico negativo un parere (anche non vincolante) contrario al testo di un de­creto voluto dalla maggio­ranza sulla riforma federa­lista del governo Berlusco­ni. Ma anche questa tesi è errata. Infatti non si tratta di un voto politico, sul me­rito del provvedimento, ma di un voto tecnico. Che riguarda il fatto se il decreto redatto dal gover­no è oppure no conforme alla delega data dalla leg­ge, cioè dal Parlamento. La Commissione non può dire se quel testo le piace o no, deve solo dire se è conforme o no alla dele­ga, che è abbastanza gene­rica. Dunque non c’è niente di simile al referendum di Mirafiori, dove se vince il no la fabbrica è destinata al declino, perché non pro­durrà i nuovi modelli di Fiat che emigreranno fuo­ri dall’Italia. Da ciò conse­gue che le scalmane dei va­ri onorevoli Bocchino su «federalismo sì o no», in questo caso, sono del tut­to fuori luogo. Ma un significato politi­co ed economico il voto lo avrà. E non sarà sul federa­lismo o altre questioni di principio, ma sarà su una questione concreta riguar­dante l’economia privata, che interessa la grande maggioranza degli italia­ni, cioè le tasse sulla casa. Infatti il nucleo fonda­mentale dei decreti attua­tivi riguarda la delega al governo ad attuare una ce­dolare secca sugli affitti delle case d’abitazione, che sarà devoluta ai comu­ni, che dovrebbe oscillare fra il 20 e il 23%. E che do­vrebbe rimpiazzare la at­tuale tassazione statale con l’Irpef, che arriva sino al 45%. Oggi molti affitti sono in nero, per intero o parzial­mente, perché i proprieta­ri non vogliono pagare una imposta sul reddito che spesso, dati i costi di manutenzione degli im­mobili e la coesistenza del­­l’Ici, finisce per divorare quasi tutto il reddito. Quando l’affitto è tutto di­chiarato, dato che i pro­prietari pagano alti oneri fiscali, i canoni di locazio­ne sono spinti in su. Le al­te imposte sulle case ridu­cono la convenienza a in­vestire in proprietà da da­re in affitto e contribuisco­no al caro alloggi. Ridu­cen­do l’aliquota a una per­centuale moderata si ottie­ne sia l’effetto di far emer­gere una parte degli affitti in nero e sia quello di far affluire sul mercato allog­gi che adesso i proprietari tengono sfitti, in cattivo stato, perché non convie­ne farci i lavori, per affit­tarli.
Con questa riduzione fi­scale, che sarà a costo ze­ro perché farà emergere il sommerso edilizio (so­prattutto se i comuni si da­ranno da fare), si dà una spinta all’edilizia e si ridu­cono i problemi del caro alloggi. Ma ci sono politi­ci, che non hanno mai la­vorato e che non hanno mai provato le fatiche del risparmio, che, per una ra­gione o per l’altra, sono contro la cedolare secca sugli affitti. E con vari ca­villi vorrebbero affossare il decreto. Tassare le ca­se, i patrimoni della gen­te comune, fa parte dei cli­ché della sinistra progres­sista, che considera la pic­cola proprietà come l’al­veare da cui drenare pe­riodicamente il succo: perché - pensano costoro - le api laboriose conti­nueranno a darsi da fare, fornendo nuove basi im­ponibili da sfruttare. Al­tri, per combattere Berlu­sconi, sono disposti a dire no a una riforma che va a favore dei ceti medi, della gente a basso reddito, dei giovani. Per i quali, poi, spendono frasi retoriche. Siete o no per la cedolare secca sulle case? Questo è il significato politico ed etico del voto consultivo della Commissione bica­merale.