Francesco Forte, il Giornale 10/1/2011, pagina 1, 10 gennaio 2011
MENO TASSE SULLA CASA TRENO DA NON PERDERE
Il voto della Commissione bicamerale sui decreti attuativi del federalismo, previsto per i prossimi giorni, non è affatto una sfida decisiva, come alcuni commentatori vogliono far credere. Infatti non si tratta di un voto su una legge, ma di un parere non vincolante su decreti di attuazione di leggi già approvate. Si potrebbe sostenere che può suonare comunque come un giudizio politico negativo un parere (anche non vincolante) contrario al testo di un decreto voluto dalla maggioranza sulla riforma federalista del governo Berlusconi. Ma anche questa tesi è errata. Infatti non si tratta di un voto politico, sul merito del provvedimento, ma di un voto tecnico. Che riguarda il fatto se il decreto redatto dal governo è oppure no conforme alla delega data dalla legge, cioè dal Parlamento. La Commissione non può dire se quel testo le piace o no, deve solo dire se è conforme o no alla delega, che è abbastanza generica. Dunque non c’è niente di simile al referendum di Mirafiori, dove se vince il no la fabbrica è destinata al declino, perché non produrrà i nuovi modelli di Fiat che emigreranno fuori dall’Italia. Da ciò consegue che le scalmane dei vari onorevoli Bocchino su «federalismo sì o no», in questo caso, sono del tutto fuori luogo. Ma un significato politico ed economico il voto lo avrà. E non sarà sul federalismo o altre questioni di principio, ma sarà su una questione concreta riguardante l’economia privata, che interessa la grande maggioranza degli italiani, cioè le tasse sulla casa. Infatti il nucleo fondamentale dei decreti attuativi riguarda la delega al governo ad attuare una cedolare secca sugli affitti delle case d’abitazione, che sarà devoluta ai comuni, che dovrebbe oscillare fra il 20 e il 23%. E che dovrebbe rimpiazzare la attuale tassazione statale con l’Irpef, che arriva sino al 45%. Oggi molti affitti sono in nero, per intero o parzialmente, perché i proprietari non vogliono pagare una imposta sul reddito che spesso, dati i costi di manutenzione degli immobili e la coesistenza dell’Ici, finisce per divorare quasi tutto il reddito. Quando l’affitto è tutto dichiarato, dato che i proprietari pagano alti oneri fiscali, i canoni di locazione sono spinti in su. Le alte imposte sulle case riducono la convenienza a investire in proprietà da dare in affitto e contribuiscono al caro alloggi. Riducendo l’aliquota a una percentuale moderata si ottiene sia l’effetto di far emergere una parte degli affitti in nero e sia quello di far affluire sul mercato alloggi che adesso i proprietari tengono sfitti, in cattivo stato, perché non conviene farci i lavori, per affittarli.
Con questa riduzione fiscale, che sarà a costo zero perché farà emergere il sommerso edilizio (soprattutto se i comuni si daranno da fare), si dà una spinta all’edilizia e si riducono i problemi del caro alloggi. Ma ci sono politici, che non hanno mai lavorato e che non hanno mai provato le fatiche del risparmio, che, per una ragione o per l’altra, sono contro la cedolare secca sugli affitti. E con vari cavilli vorrebbero affossare il decreto. Tassare le case, i patrimoni della gente comune, fa parte dei cliché della sinistra progressista, che considera la piccola proprietà come l’alveare da cui drenare periodicamente il succo: perché - pensano costoro - le api laboriose continueranno a darsi da fare, fornendo nuove basi imponibili da sfruttare. Altri, per combattere Berlusconi, sono disposti a dire no a una riforma che va a favore dei ceti medi, della gente a basso reddito, dei giovani. Per i quali, poi, spendono frasi retoriche. Siete o no per la cedolare secca sulle case? Questo è il significato politico ed etico del voto consultivo della Commissione bicamerale.