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 2011  gennaio 09 Domenica calendario

«La Camusso? Mai lavorato in fabbrica» - La giovane Camusso non lo sop­­portava, e in privato lo chiamava «il ca­poscala »: intendendo che avesse il livel­lo culturale dei vecchi responsabili di caseggiato del Partito comunista

«La Camusso? Mai lavorato in fabbrica» - La giovane Camusso non lo sop­­portava, e in privato lo chiamava «il ca­poscala »: intendendo che avesse il livel­lo culturale dei vecchi responsabili di caseggiato del Partito comunista. Sono passati trent’anni. Susanna Camusso è diventata segretario generale della Cgil: il posto di Di Vittorio e di Lama. Lui, Cesare Moreschi, 72 anni, leader co­munista della Fiom milanese negli an­no Ottanta, è in pensione: ma non ha perso la vecchia abitudine di organizza­re, e così presiede il comitato degli in­quilini di via Padova, la controversa ca­sbah multietnica della periferia milane­se. Ma continua a tenere d’occhio quel che accade nel sindacato. E ha seguito con un occhio di riguardo l’ascesa della ragazzona bionda che era la sua «vice» negli anni ruggenti del sindacalismo metalmeccanico. Moreschi, si aspettava che Susanna Camusso arrivasse così in alto? «Francamente no. E credo che non se lo immaginasse neanche lei. È un posto importante, ma anche gravoso». Che tipo era la Camusso, ai suoi esor­di da sindacalista? «Non molto diversa da adesso, direi. Se non ricordo male era arrivata alle 150 ore, i corsi di formazione per lavoratori, attraverso la Uil. Ma quando la Flm, che era il sindacato unitario dei metalmec­canici, iniziò ad andare in crisi, lei scel­se di stare con noi, con la Fiom Cgil. E poco dopo entrò in segreteria. Era una donna abbastanza intelligente, una che svolgeva bene i compiti che le venivano affidati. Il problema è che non aveva mai lavorato in fabbrica in vita sua. E quindi aveva la visione del modo di fare sindacato che era classica di chi non ve­niva dal lavoro dipendente: cioè preferi­va affidarsi alla teoria più che misurarsi con le condizioni concrete di chi in fab­brica ci stava». Non andavate molto d’accordo,sem­bra di capire. «Venivamo indubbiamente da cultu­re diverse. Lei era molto affascinata dal mondo delle relazioni industriali, da un rapporto in cui si dava molta importan­za al rapporto diretto con la contropar­te, al capire le ragioni delle aziende. Noi, come Fiom, su questo eravamo fin troppo rigidi: pensi che rifiutavamo gli incontri informali con le controparti per timore di venire sottoposti a pressio­ni, a condizionamenti, a ricatti. Lei inve­ce era molto disponibile. E lo vedo an­che nel suo atteggiamento attuale. È un modo di fare sindacato non voglio dire sbagliato o illegittimo, ma diverso dalla nostra cultura di quegli anni». Insomma litigavate di brutto. «Ci furono momenti di discussione anche aspri, perché a volte la accusava­mo di portare avanti opinioni personali e non la linea dell’organizzazione. Non era solo la Camusso, sia chiaro: c’era un tipo di dirigenti sindacali che la sua legit­timazione più che dal rapporto con i la­voratori se l’andava cercando nel rap­porto con chi stava dall’altra parte del tavolo, con gli esponenti di Confindu­stria, di Federmeccanica, o i capi del personale delle grandi aziende. Per noi invece contava solo l’organizzazione e il rapporto con la base, con la fabbrica». Lei comunista, la Camusso sociali­sta. Contava anche questo? «Erano anni in cui il rapporto con i partiti di provenienza era forte. Ma de­vo dire che quando lo scontro tra Pci e Psi divenne frontale, all’epoca del de­creto del governo Craxi sulla scala mobi­le, la Fiom fu in prima linea nella batta­glia. E in quella occasione la Camusso non condivise apertamente ma ci lasciò fare, e anzi sotto sotto ci diede una ma­no. D’altronde dalla base, dalle fabbri­che c’era un’opposizione molto forte ed era difficile per tutti non tenerne con­to ». Oggi la Camusso si trova a gestire una Cgil profondamente divisa al suo interno, a gestire il dissenso dei duri della Fiom. «Io con alcuni dirigenti della Fiom at­tuale, come Giorgio Cremaschi, mi so­no scontrato per anni. Ma credo che la posizione della Fiom sia molto meno isolata di quanto si voglia far credere. Non sono solo i metalmeccanici, den­tro la Cgil, a ritenere che la linea Mar­chionne punti a cancellare il sindacato come forza organizzata». E in questo caos come se la caverà, la Camusso? Ha stoffa sufficiente a te­nere in piedi la baracca? «Da sola non può decidere. Dipende­rà dai consiglieri che avrà intorno, da chi la aiuterà a ragionare. Se trova ac­canto a sé qualcuno che le spieghi chia­ramente qual è la posta in gioco, cioè la essenza stessa del sindacato, allora po­trà farcela. Se invece si fa influenzare dalle campagne mediatiche, se entra nel personaggio di donna di ferro che le stanno cucendo addosso, di quella che saprà imporsi, mettere in riga i dissiden­ti, beh: allora sarà un disastro».