Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 10/01/2011, 10 gennaio 2011
IL SEGNO DI CAMBELLOTTI
«Un antesignano inconsapevole dei migliori disegnatori italiani del secondo dopoguerra, come Hugo Pratt e Andrea Pazienza» . Questa la definizione assegnata a Duilio Cambellotti da Fabio Benzi, il critico che ha curato la mostra sulle illustrazione dell’artista, in corso alla Galleria Russo di via Alibert 20, dove è stata prorogata, visto il successo, fino al 30 gennaio. Scavando nell’archivio Cambellotti, Benzi ha selezionato oltre cinquecento opere, su un corpus originale di circa millecento. Le ha esposte e le ha pubblicate in un catalogo che va ad aggiungersi (in una edizione in cofanetto) agli altri due usciti rispettivamente nel 2001 e le 2006, in concomitanza con le precedenti esposizioni della Galleria Russo. Alla fine del lavoro, Benzi si è convinto che bisognerà esplorare più minuziosamente gli esordi illustrativi cambellottiani: «Infatti la critica è rimasta molto generica nel commentare questi episodi iniziali, invece estremamente significativi per disegnare le mosse formative dell’artista. Ad esempio Quesada, una ventina di anni fa, si limitava a suggerire che le prime prove, cartelloni teatrali e pubblicitari, prendono le mosse dallo stile imperante a fine Ottocento. E Damigella, nel Duemila, parla di leggerezza e sottile ironia della grafica liberty, senza specificare un percorso più articolato» . Benzi sostiene invece che già a partire da una serie di bozzetti e di litografie del 1896 (data precocissima, essendo Cambellotti nato nel 1876 e all’epoca ancora studente nelle scuole di arte applicata) si può rintracciare chiaramente la derivazione art-nouveau. E che poco dopo, nel 1900, l’artista inizia ad ampliare il repertorio intorno all’esempio della Secessione austriaca. Nello stesso anno, tra l’altro, aveva partecipato al concorso bandito da Vittorio Alinari per una edizione illustrata della Divina Commedia e iniziato a collaborare con diversi periodici. Nel 1905, Cambellotti illustra il volume di poesie «Come le nuvole» di Filippo Amantea. Ed è da questi disegni che inizia il percorso della mostra, sviluppato poi fino al 1954, cioè fino a pochi anni prima della morte dell’artista, avvenuta a Roma il 31 gennaio 1960. Benzi avverte che fin dall’inizio si possono ravvisare nitidamente i due indirizzi che resteranno, per tutta la lunga carriera del pittore, le sue due strade principali di espressione: «Da una parte un Secessionismo Jugendstil, innervato e lineare, che lo condurrà alla pratica dell’incisione e della xilografia proprio per via del segno generativo forte e voluttuoso, espressivo e asciuttamente architettonico; dall’altra un chiaroscuro violento e contrastato, ritagliato da lame e piani di luce, in cui fotografia pittorica, grafica e contenuti simbolisti determinano la raffigurazione con una spiritualità austera e pensierosa» . Si percepisce anche la sua concezione della vita, improntata a un «arcaismo esistenziale» , dove mito e quotidianità vanno di pari passo. E questo avviene soprattutto nelle chine su carta lucida e nei disegni a matita realizzati per i sillabari delle scuole romane contro l’analfabetismo e di quelle dei contadini dell’agro romano e delle paludi pontine. Il colore esplode invece nelle bellissime serie dedicate alle «Mille e una Notte» e al Palio di Siena. In coda, un gruppo di illustrazioni non ancora identificate, scelte dal curatore per mostrare quanto lavoro ancora vada fatto per conoscere a fondo un artista così produttivo e polimorfo.
Lauretta Colonnelli