Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera 10/01/2011, 10 gennaio 2011
TOBRUK, PORT SAID, TANGERI. LA SFIDA DEI PORTI STORICI
Il Mediterraneo si è capovolto. Forse oggi lo scenario più adeguato per il film di Bernardo Bertolucci, «Il tè nel deserto» (1990), non sarebbe la sabbia che circonda Tangeri, ma la Piana di Gioia Tauro. D’accordo, nel breve periodo può avere ancora un qualche significato scrutare i piccoli scostamenti percentuali dei traffici o consolarsi con le classifiche dei container movimentati. Ma è questione di tempo, e neanche troppo. Ormai si è capito. Il grande porto calabrese e tutto quello che avrebbe dovuto significare in termini di rilancio per il Mezzogiorno sarà presto raggiunto, e probabilmente surclassato, dai concorrenti che ruggiscono sull’altra sponda. L’egiziana Port Said, la libica Tobruk, la marocchina Tangeri, senza dimenticare i rivali di sempre: gli spagnoli di Algeciras. Il governo italiano ci ha messo molti mesi prima di consentire all’Autorità portuale di ridurre le tasse di attracco pagate delle navi. Eppure già dalla fine 2009 era chiaro che le carte stavano cambiando. Ora, a Gioia Tauro ci sarà anche il personale più qualificato del mondo. Ma significherà pure qualcosa se a Tangeri il ticket di ingresso in rada costa la metà, e a Port Said meno di un decimo rispetto a quello richiesto dai calabresi? In realtà tutti gli addetti ai lavori sanno che Tangeri, per esempio, non è più il rifugio decadente e fricchettone degli alternativi di 40, 50 anni fa. Degli scrittori della beat generation americana (Allen Ginsberg, Peter Orlovsky, William Burroughs, Jack Kerouac) frequentatori della casa di Paul Bowles, l’autore del romanzo «The sheltering Sky» (1949) (tradotto Il tè nel deserto). Certo, nelle viuzze del porto i turisti possono ancora fiutare l’odore di hascisc o marijuana, ritrovando i bar frequentati dai Rolling Stones. Qualcun altro potrà pure imbattersi nelle situazioni più torbide, tra trafficanti e ruffiani di ogni specie, che nel dopoguerra dividevano la piazza con le spie naziste. Poi però basta guardare verso il mare e si capisce. Il Tanger-Med è già tra i primi porti per il trasporto di container. Lo scalo gemello, il Tanger-Med 2, è in costruzione. Dirige le operazioni, praticamente in presa diretta, il giovane re Mohammed VI. Il piano è tanto ambizioso quanto spregiudicato. Nel retroterra delle banchine sorgerà una cittadella con 40 mila abitazioni destinate a 150 mila lavoratori. La merce verrà smistata, ma se possibile anche trasformata. I semi-lavorati tessili, per esempio, diventeranno capi pronti per la spedizione alle grandi catene di magazzini del Nord Europa. A costi ridotti e zero tasse. Con tanti saluti all’unico binario ferroviario che collega Gioia Tauro al resto del mondo e alle sole imprese che lì fanno affari, quelle della ’ ndrangheta (famiglie Pesce-Belloco, Molè, Piromalli e Alvaro, secondo le inchieste della magistratura). All’inizio di giugno, in tempi quindi relativamente non sospetti, nel corso di una riunione all’Autorità portuale della Piana, Lorenzo Piatti, responsabile Italia della Maersk Line Italia se n’era uscito con una frase che aveva fatto rabbrividire la mezza dozzina di sindacalisti presenti all’incontro. «Guardate che gli indici di produttività di Port Said sono più alti di quelli di Gioia Tauro» . Port Said? Sì proprio Port Said, la cittadina sul canale di Suez che rimanda a immagini in bianco e nero. Alla stagione del presidente Nasser, alla nazionalizzazione del Canale (1956) e allo scontro militare tra Egitto e il blocco a tre formato da Israele, Gran Bretagna e Francia. Gli egiziani schierarono carri armati cecoslovacchi, piuttosto malmessi. Ma furono salvati dall’Unione Sovietica che minacciò un intervento diretto e indusse gli americani a convincere gli alleati a ritirarsi. In cinquant’anni Port Said è passata dal gemellaggio con la sovietica Volvograd (ex Stalingrado) a un’alleanza industriale con gli armatori cinesi della Cosco Pacific. E allora, visto che la produttività dipende anche dai sistemi organizzativi, è così sorprendente che il porto egiziano sia più efficiente del dirimpettaio italiano? Ma non è finita. C’è anche la Libia. E Tobruk, appostata su una profonda insenatura naturale, sembra fatta apposta per diventare un grande porto. Gli inglesi, Rommel, la guerra d’Africa, l’assedio di Tobruk. L’avevamo lasciata sui libri di scuola. Era tornata con il recente volume di Folco Quilici, figlio di Nello, il direttore del Corriere Padano che il 28 giugno 1940 si trovava a bordo del Savoia-Marchetti S. M. 79. Ai comandi del trimotore c’era Italo Balbo, Maresciallo dell’aria, ministro-aviatore, fascista, ma non sempre allineato. La contraerea italiana lo abbatté per errore. Versione ufficiale a lungo discussa e riesaminata da Quilici in «Dubbi e verità sulla fine di Italo Balbo» , Mondadori, 2006. Gheddafi, archiviato Balbo e il fascismo, ha fatto di Tobruk un terminale cruciale degli oleodotti petroliferi. Presto questo nome sarà di nuovo segnato in rosso sulle mappe del Nuovo Mediterraneo.
Giuseppe Sarcina