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 2011  gennaio 10 Lunedì calendario

QUANDO MEZZA EUROPA SCELSE LA STRATEGIA DELLE LEGGI SPECIALI —

La cattiva reputazione inizia spesso con un’immagine che fa epoca. Quella dell’Italia all’estero, in fatto di terrorismo, è una pistola nera su un piatto di spaghetti non conditi, pubblicata nel 1977 sulla copertina del settimanale tedesco Der Spiegel. Da allora, l’idea della violenza e del groviglio si è fissata nella mente di molti, a livello internazionale: un Paese intricato e poco lineare come la sua pasta al quale si contrapponeva la geometrica potenza di organizzazioni politiche armate. Nonostante la lotta contro il terrorismo degli Anni Settanta e Ottanta sia stata uno dei maggiori successi della democrazia italiana, ottenuto senza leggi speciali e nel rispetto delle libertà individuali, quell’immagine è rimasta forte in certi ambienti, per esempio in parte della sinistra brasiliana che oggi protegge Cesare Battisti. Eppure, il terrorismo interno non è stato un fenomeno solo italiano: soprattutto, in Europa pochi lo hanno affrontato meglio, con mezzi altrettanto democratici e garanzie individuali. Proprio in Germania, nella «Germania d’autunno» , quegli anni furono drammatici, sia per gli attentati della Raf (Rote Armee Fraktion) sia per la risposta durissima e fondata su leggi speciali che la Repubblica federale tedesca diede. L’attività terroristica era iniziata a fine Anni Sessanta, soprattutto attorno al gruppo Baader Meinhof: tra il 1970 e il 1979 ben 649 attentati, 31 morti, 97 feriti, 163 persone prese in ostaggio, almeno trenta rapine in banca. Altri 1.601 attentati seguiranno tra il 1980 e il 1985. L’allora Repubblica di Bonn rispose sulla base del concetto costituzionale che ritiene i diritti individuali in certi casi da limitare di fronte al principio di lealtà alla Costituzione. Tra il 1970 e il 1989, furono introdotti 20 emendamenti al codice penale per facilitare la lotta al terrorismo. L’articolo 129a fu rivisto due volte al fine di proibire il «rapporto» con organizzazioni terroristiche e la «pubblicità» a loro favore e soprattutto per permettere l’arresto anche in assenza di sospetta attività criminale per possibili terroristi. In più, ogni inchiesta fu centralizzata nell’Ufficio del procuratore federale, al fine di evitare appelli. Forse la legislazione più dura d’Europa, sicuramente la meno rispettosa dei diritti degli individui, anche perché accompagnata da misure detentive particolarmente rigide, come quelle nell’ala speciale del carcere di Stammhein, dove nell’ottobre 1977 tre capi della Raf — Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe— si suicidarono (o, secondo altri, furono uccisi). Negli stessi anni, e per molti altri successivi, Londra conduceva la sua guerra contro l’Ira nell’Irlanda del Nord. Anche in questo caso con una serie di atti legislativi — i Prevention of Terrorism Acts iniziati nel 1974 e finiti nel 2005— che prevedevano arresti preventivi, la messa al bando di certe organizzazioni, l’arresto dei loro membri e l’emissione di exclusion orders sulla base dei quali a certi individui poteva essere impedito di entrare in Gran Bretagna. La guerra — andata avanti per anni tra attentati dell’Ira e stato d’assedio a Belfast— terminò poi sulla base di un accordo politico voluto dall’allora primo ministro Tony Blair e intermediato anche da numerose personalità americane, tra le quali l’ex presidente Bill Clinton.
Ma non c’è dubbio che Londra per anni abbia scelto la strada della guerra e delle leggi speciali per combattere l’Ira. In Francia, Paese che con la Dottrina Mitterrand ha avuto un rapporto benevolo e di protezione con i terroristi italiani, un vero movimento terrorista interno non si è mai sviluppato. Action Directe condusse una serie di attentati tra il 1979 e il 1987, ma mai della portata di quelli delle Brigate Rosse in Italia o della Raf in Germania. Più pericoloso è stato il terrorismo di matrice islamica o nazionalista, per esempio l’attentato all’aeroporto di Orly nel 1983 condotto da un esercito di liberazione armeno (otto morti). Ciò nonostante, presso il ministero della Giustizia di Parigi è in funzione un’unità antiterrorismo che ha poteri particolari per arrestare chi è sospettato «di cospirare in relazione al terrorismo» . In Spagna, infine, la lotta al nazionalismo armato basco dell’Eta è condotta da anni in modo ambiguo: da una parte, una serie di importanti processi e successi della polizia, dall’altra la ricerca di accordi politici non sempre alla luce del giorno— probabilmente in corso anche oggi — tra il governo di Madrid e l’Eta stessa. Nessuno, insomma, in Europa, può davvero dare lezioni in fatto di lotta al terrorismo. Solo in Italia, però, quel vecchio groviglio di spaghetti è ancora lì e impedisce di rivendicare un grande successo della democrazia. Danilo Taino