Elisabetta Rosaspina Corriere della Sera 9/1/2010, 9 gennaio 2010
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MADRID
-Pareva solamente un brutto sogno, rimasto nell’anno vecchio, cancellato dalla visita a Madrid di un singolare re Magio, il vice primo ministro cinese, Li Keqiang, foriero di belle notizie: Pechino intende continuare a comprare i titoli del tesoro pubblico spagnolo, «a breve e a lungo termine» . Un rasserenante atto di fiducia dall’emissario orientale che la stampa nazionale ha definito «un nuovo Mister Marshall» . Alla dichiarazione di stima sono seguiti i fatti, con un sostanzioso incoraggiamento dal Banco Centrale cinese, già titolare di 43 miliardi di euro del debito pubblico spagnolo, e sul punto di acquistarne pronta cassa per altri sei. «Ora gli speculatori avranno vita più difficile» , hanno fatto notare gli analisti finanziari. Ma il sollievo è durato poco. L’incubo è tornato, subito dopo l’Epifania, con la lista mondiale dei Paesi a rischio default pubblicata dalla britannica Cma Datavision, che piazza al settimo posto della classifica, per il quarto trimestre 2010, proprio la Spagna, considerata appena più affidabile di Grecia, Venezuela, Irlanda, Portogallo, Argentina, Ucraina, ma meno di Dubai, Ungheria e Iraq. È la prima volta che la Spagna entra nella poco lusinghiera «top ten» dei Paesi dall’economia più traballante, e il rapporto inglese fa riferimento, come principale responsabile, alla bolla immobiliare che ha comportato un aumento del 50%dei costi di assicurazione del debito. Una spiacevole sorpresa, proprio poco dopo che il primo ministro portoghese, José Socrates, aveva annunciato una crescita dell’ 1,4%del prodotto interno lordo nel 2010, un aumento insperato delle entrate fiscali e una benefica riduzione delle spese. Invano: i rendimenti dei bond portoghesi a dieci anni sono schizzati al 7,3%, segnando un differenziale di 451 punti-base in confronto al corrispettivo Bund tedesco. Mentre i credit default swap sul debito pubblico portoghese si avvicinano pericolosamente ai livelli irlandesi: 534 punti base. Per la Spagna, di nuovo sotto mira, la sfiducia dei mercati aveva toccato venerdì la quota più alta, con 269 punti base, dal 30 novembre scorso. La (s) valutazione non poteva essere più improvvida e intempestiva, a pochi giorni dall’emissione di nuovi bond del tesoro in Spagna (ma anche in Portogallo e Italia) e dalle elezioni presidenziali in Portogallo. Dove convergono le occhiate truci dei coinquilini iberici, oltre a quelle dei più benestanti partner europei, come Francia e Germania: colpa di Lisbona, della sua riluttanza ad accettare la ciambella di salvataggio dell’Unione, delle sue mancate o ritardate riforme, della sua ostinazione nell’asserire che può farcela da sola, soprattutto a uso elettorale interno. Però colpa anche, per dirla tutta, della cospicua esposizione delle banche spagnole in Portogallo: quasi cento miliardi di dollari (93 e 300 milioni) che non rientreranno tanto facilmente. E che rappresentano oltre il 30%dell’esposizione totale delle banche spagnole, con un rischio equivalente al 5%del prodotto interno lordo. La pressione dei principali governi europei su Lisbona perché ceda e chieda finalmente aiuto, come Grecia e Irlanda, si sta dunque ripercuotendo pericolosamente sulla sicurezza del mercato spagnolo e sulla tenuta dei titoli finanziari in Borsa: venerdì scorso l’Ibex 35 è stato il più penalizzato d’Europa (-1,48%, con una caduta del 3,03%nella prima settimana dell’anno). Per parte propria il Portogallo resiste, benché senza troppa convinzione. Il premier Socrates ha detto ieri che il Paese «fa ciò che serve» per evitare il salvataggio. Il presidente Anibal Cavaco Silva ha aggiunto che Lisbona «farà il possibile» . Ma Jean-Claude Trichet, presidente della Banca Centrale Europea, ha già avvertito che non ci sarà clemenza per i governi europei irresponsabili nella gestione dei bilanci pubblici, o poco reattivi nei confronti della crisi. Non ha fatto nomi, ma l’avviso pareva superfluo ieri mattina al ministero del Lavoro spagnolo, dove è iniziata la seconda riunione-fiume in 24 ore tra il titolare del dicastero, Valeriano Gómez, e i sindacati: l’esecutivo di Josè Luis Rodriguez Zapatero intende far passare a qualunque costo, fosse anche un secondo sciopero generale contro il governo socialista nel giro di pochi mesi, il rinvio dell’età pensionabile dai 65 ai 67 anni. Con l’occasione, si tratta duramente sulla riforma del mercato del lavoro e sui contratti collettivi. Pur negando categoricamente di voler rappresentare gli interessi della «patronal» , la Confindustria spagnola, il governo spinge per formalizzare la nuova normativa sulle pensioni entro venti giorni. Deboli le speranze di arrivare a un accordo in tempi rapidi e senza strappi. Elisabetta Rosaspina