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 2011  gennaio 06 Giovedì calendario

PETROLIO E CARBONE? TASSARLI ALLA FONTE


James Hansen non è andato a Cancun per l’ultima conferenza Onu sul clima: dice che osservando i negoziati in corso da anni, gli era chiaro che non sarebbe emerso là un impegno per la vera soluzione al problema del clima, ovvero «lasciare nel suolo i combustibili fossili, a partire dal carbone».
Hansen ha le credenziali per dirlo. E’ direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa e professore di Scienze della Terra alla Columbia University. E’ stato lui, nel lontano 1988, a dichiarare durante un’audizione al Congresso Usa che un cambiamento del clima indotto da attività umane era ormai osservabile; da allora ha continuato il suo lavoro di ricercatore, ma da alcuni anni è anche in prima linea nelle iniziative della società civile e della comunità scientifica per strattonare i governi, in particolare quello statunitense. Impresa ardua perché, afferma, «l’influenza del denaro sulla politica è il maggior problema per la democrazia e il pianeta». Se i governi sono inerti è perché sono troppo influenzabili. Anche a Washington «non è ancora cambiato niente», e tuttavia il presidente Barack Obama rimane «la nostra speranza migliore, ma deve approfondire questo argomento».
Sentendo una precisa responsabilità morale nei confronti delle generazioni attuali e soprattutto future, incarnate nei suoi nipotini, Hansen si è anche fatto arrestare negli Usa nel corso di manifestazioni contro la costruzione di nuove centrali a carbone. Il suo primo libro, Storms of my Grandchildren, intreccia la vicenda umana a quella professionale dello scienziato alle prese con la politica del clima (è stato appena pubblicato in italiano dalle Edizioni Ambiente con il titolo Tempeste. Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire). I diritti d’autore sono versati al movimento internazionale 350.org, attivissimo nel richiedere ai governi azioni per riportare rapidamente la concentrazione di anidride carbonica (CO2, il principale gas serra) dalle 389 ppm (parti per milione) dell’oggi a meno di 350, ritenute soglia di sicurezza per evitare una catastrofe ecologica.
Ma rispetto a questo obiettivo scientifico, ci ha detto Hansen durante un recente incontro a Roma, l’approccio dei politici si limita a promesse vuote. Infatti i governi continuano a permettere la crescita di centrali a carbone e di fonti di combustibili non convenzionali come le sabbie bituminose. Eppure «è chiaro che non possiamo bruciare tutti i combustibili fossili ancora esistenti, oppure arriveremo a 700-800 ppm», una concentrazione di CO2 nell’atmosfera che ci porterà all’estinzione.
Che fare dunque? Hansen ripete che «i combustibili fossili sono troppo economici, perché nessuno imputa loro i costi, le esternalità del loro uso. Bisogna renderli meno competitivi rispetto alle alternative energetiche pulite». Lo strumento, spina dorsale di una soluzione per il clima, è «una tassa globalmente uniforme, e crescente, applicata a tutti i combustibili fossili alla fonte: ai pozzi e miniere o ai punti di sbarco, cioè al primo atto di vendita». Una tariffa unica per tonnellata di carbonio contenuta nel combustibile. Le popolazioni non pagheranno direttamente nessun costo, ma i prezzi dei beni di consumo e servizi saliranno in proporzione a quanto combustibile fossile viene usato per produrli. Però, con il meccanismo tax and dividend, tutto il ricavato della tassa pagata dal primo compratore verrà suddiviso uniformemente come rendita equa fra i residenti utilizzatori finali in un dato paese. In questo modo, sostiene Hansen, si compenserebbe l’aumento dei prezzi determinato dalla tassa e si incentiverebbero le persone e le collettività - anche quelle «climaticamente obese», i fat cats occidentali - ad abbandonare prodotti e servizi ad alto contenuto di fossili, e dunque più tassati, per passare a quelli low carbon o zero carbon. Per Hansen fra le fonti alternative c’è anche il nucleare... («ma niente paura, i paesi che non lo vogliono useranno altro»).
Non è dunque con i meccanismi di mercato - come il commercio dei crediti di carbonio o le compensazioni - che riusciremo a fermare il riscaldamento del clima, insiste Hansen. E non basta neppure ridurre le sovvenzioni sui combustibili fossili: bisogna tassarli, e alla fonte. Un dividendo di questo tipo, sostiene il professor Hansen, non richiede complesse strutture burocratiche ed è efficace. Non lo è invece l’attuale compravendita dei diritti di emissione, che considera uno dei difetti del Protocollo di Kyoto: «C’è voluto un decennio a definire quel protocollo, e il risultato è un cambiamento molto lento anche nei paesi dell’Allegato I, quelli obbligati a ridurre le emissioni». In effetti anche il meccanismo europeo di emission trading Ets registra riduzioni di pochissimi punti percentuali.
Un altro problema con il commercio delle emissioni è che non si possono tenere le banche fuori dal relativo mercato e dai meccanismi di compensazione: «E quando c’è Wall Street di mezzo sono loro a guadagnarci anziché i cittadini» dice Hansen. Non solo: se una tassa non è applicata alla fonte, lobbisti e interessi possono intromettersi e svicolare. Un effetto perverso del commercio dei permessi di carbonio è che questo genera un minimo obbligatorio di emissioni, al di sotto del quale non conviene andareSenza contare che con il commercio del carbonio le virtù degli uni addirittura permettono ad altri di essere più criminali, climaticamente parlando... Invece, il sistema fee and dividend che lui immagina «spinge a ridurre sempre di più l’uso dei combustibili rincarati dall’accisa».
Hansen immagina dunque una tassa sui combustibili fossili alla fonte, e pensa che vada introdotta sia negli Stati uniti che in Cina, e beninteso in Europa. Pechino sta cominciando a comportarsi razionalmente, nota lo scienziato, visto che «300 milioni di cinesi vivono sulle coste minacciate dall’innalzamento dei mari, che l’inquinamento da carbone è un problema tanto enorme che il paese sta investendo in energia carbon-free; e che il paese non vuole spendere somme enormi per proteggere con militari le fonti di rifornimento dei combustibili fossili». L’altro «partner» che deve e può andare in avanscoperta è l’Europa. I giovani in particolare devono fare pressione sui governi europei, che finora hanno fatto soprattutto greenwash, cambiamenti di facciata: le loro emissioni interne si sono ridotte, ma se consideriamo anche le loro importazioni, sono aumentate.