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 2010  gennaio 06 Mercoledì calendario

CARO FLORES, MENO SPAVALDERIA VOLTERRIANA

E se, come diceva una grande filosofa, non ci fossero atei ma solo idolatri? La nostra sete d’assoluto sembra cioè rivolgersi, in mancanza d’altro, a oggetti terreni: si ama come Dio il Partito, il Futuro, e perfino la Roma o il Paraurti del Suv (i molti idoli di cui è fatto l’immaginario sociale). Anche alla luce di questa considerazione avrei una sola obiezione - di stile - al libro di Paolo Flores D’Arcais “La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger” (Ponte alle Grazie). Non nel senso che sia scritto male o in modo sciatto. Tutt’altro. Il punto è che le critiche, spesso condivisibili, alle tentazioni teocratiche del “Pastore tedesco” (come spesso lo chiama), rivelano una baldanza volterriana, un mix di supponenza e sarcasmo, che mi sembra non giustificato dall’attuale stato della (idolatrica) cultura laica. Va bene, a un certo punto l’autore, ripassando l’attacco del Papa alla modernità («minata profondamente da contraddizioni e debolezze, dal vuoto di valori che traspare sotto la superficie opulenta dei consumi…») conclude onestamente che «non ha tutti i torti». Ma è un passaggio un po’ sbrigativo. Eppure se le promesse della modernità non si sono mantenute finora dovrà pur esserci qualche ragione non contingente. Il fatto che il luminoso “Occidente dei valori” si sia tradotto nel desolante “Occidente reale” (per Susan Sontag esemplificato ad Abu Ghraib: Pornografia & Spettacolo), getta forse un’ombra su quegli stessi valori e sulla loro effettiva praticabilità.
Guardiamo alla migliore cultura laica del secondo dopoguerra. Quasi mai il disincanto sulle cose si è separato da uno sguardo malinconico e apprensivo. Mi vengono in mente tre nomi: Nicola Chiaromonte, Ennio Flaiano, Geno Pampaloni, intellettuali inappartenenti la cui biografia si è intrecciata con quell’azionismo che sta a cuore a Flores (e a me). La passione umana per la finitezza è sempre anche struggimento per la caducità dell’esistenza, perfino per un metafisico e credente come Dante! Forse le radici cristiane dell’Europa sono incompatibili con la democrazia (la Chiesa ha sempre sostenuto ogni ancién regime), ma è lecito chiedersi se la democrazia non abbia bisogno di restaurare una qualche idea del sacro. Il sacro dischiude una dimensione misteriosa, imperscrutabile: è ciò che ci impone di fermarci, di trovare un limite al nostro agire. Non possiamo più fondarlo su una Rivelazione, ma occorrerà pure ritrovarne una qualche nozione.
D’accordo, Flores ha scritto un pamphlet (contro ogni logica monoteistica) e non un trattato di filosofia. Ed è condivisibile l’invito a mettere al bando Dio dalla sfera pubblica: negli Stati Uniti i presidenti possono anche appellarsi a Dio ma la Costituzione è stata scritta per fortuna da illuministi e non dai Padri Pellegrini. Però è dubbio che il relativismo dei valori non imponga nulla a nessuno: l’attuale totalitarismo soft implica infatti obblighi sociali silenziosi, modelli dispotici, una visione unica della vita (ci impone di “godere”con le merci, di essere fluidi, ironici e trasgressivi). Flores sembra poi indicarci come via d’uscita dallo spaesamento esistenziale l’adesione a un sobrio materialismo, innervato dalle conquiste della scienza. Prospettiva certo migliore dell’ateismo messianico dolciastro alla Bloch-Benjamin, nella quale però innumerevoli laici si sentirebbero piuttosto stretti.
Separerei nettamente il livello politico o civile, rispetto al quale non si può non auspicare una “radicale laicità”, da quello esistenziale. Altrimenti si finisce col dichiarare, come il maestro di Flores, Lucio Colletti, che credere in Dio «equivale a credere in Babbo Natale»… Non sarà invece che la religione cristiana, relegata certo nella sfera privata, possa utilmente interferire con la morale individuale? Ci può insegnare, ad esempio, che a decidere cosa siano il bene e il male non è interamente il soggetto, autonomo e padrone di sé, ma qualcosa che ci si impone, in una situazione data, e che rinvia ad altre dimensioni, meno visibili, non manipolabili a piacimento.
Oggi i credenti come i laici, di fronte a un mondo che la modernità (più o meno degenerata) sta distruggendo, mi appaiono egualmente sradicati, costretti a “consumare” le rispettive tradizioni ideali (il che sconsiglierebbe qualsiasi spavalderia di tono). L’unico modo per tornare a comunicare tra loro è quello di partire ciascuno dalla propria esperienza di alienazione culturale e insieme di ricerca di verità. Non è vero che la natura «non dice assolutamente nulla» (Flores). Dice moltissimo! Ha però bisogno di essere continuamente decifrata, con tutti i linguaggi che abbiamo a disposizione: letterari, scientifici, teologici, poetici, filosofici.