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 2011  gennaio 06 Giovedì calendario

L’Islam fa proseliti in Inghilterra "Basta consumismo" - Con la sorprendente fretta di chi deve compiere un atto che nessuna forza può impedire, 50 mila sudditi di Sua Maestà hanno deciso di abbandonare la propria fede per abbracciare l’Islam, raddoppiando, nel giro di meno di dieci anni, il numero dei convertiti britannici

L’Islam fa proseliti in Inghilterra "Basta consumismo" - Con la sorprendente fretta di chi deve compiere un atto che nessuna forza può impedire, 50 mila sudditi di Sua Maestà hanno deciso di abbandonare la propria fede per abbracciare l’Islam, raddoppiando, nel giro di meno di dieci anni, il numero dei convertiti britannici. «Sono soprattutto persone che cercano un’esistenza spirituale. Che non ne possono più dell’edonismo che riempie la loro esistenza», sussurra l’imam Ajmal Masroor. Uno studio prodotto dall’Istituto di ricerca Faith Matters rivela che dall’11 settembre 2001 le conversioni sono state più di 5000 l’anno (compresa quella di Lauren Booth, sorella di Cherie Blair) contro le 4000 registrate in Francia e in Germania. «Una percentuale molto bassa, quasi irrisoria, sceglie la strada dell’estremismo. Gli altri vogliono solo cambiare vita». Si tratta soprattutto di donne altamente scolarizzate, con un’età media di 27 anni, esattamente come Lynne Ali, ex dj di Dagenham. «Finalmente ho scoperto chi sono». Pallida, occhi scuri, un velo rosa a coprirle il capo, racconta di avere avuto una crisi di rigetto. «Bevevo, incontravo ragazzi, mettevo vestiti provocanti. Insomma, ero infelice». Una sera è tornata a casa che le girava la testa, aveva voglia di vomitare. Si è infilata sotto il lenzuolo e ha affondato la faccia tra i cuscini. Ranicchiata. «Ho sentito che dovevo cambiare. Adesso sono felice di pregare cinque volte al giorno e di andare in moschea, non sono più la schiava di una società corrotta». Sono centomila gli inglesi che la pensano come lei. Il venerdì mattina il colonnato della moschea di Regent’s Park è pieno di fedeli. Arrivano da Baker Street in piccoli gruppi, portano abiti lunghi e copricapi di lana. Molti sono uomini bianchi, nati a Londra, educati come cristiani. «Cercavo regole vere e volevo un punto di riferimento capace di aprirmi il cuore. Ho trovato l’Islam. Non mi ha convinto nessuno, ho fatto tutto da solo». Farouk Ali, nato Tobia Greenwood, ha 17 anni, i brufoli e un accenno di barbetta rossa. Arriva alla moschea accompagnato da Aissa, nato Robin Seymour, 16 anni, un caffetano azzurro e le ciabatte. È come se non si accorgesse della pioggia sottile che gli riempie il viso. «Sono amico di Farouk, è stato lui a mostrarmi la strada. Ero inquieto. Mi risuonava in testa la poesia di Kavafis. Quella che invita a non sciupare la vita fino a farne una stucchevole estranea. Allah è stato la risposta». Farouk-Tobia viene risucchiato dalla folla del colonnato. Sua madre è disperata, da quando si è convertito non gli rivolge più la parola. Il padre ha minacciato di chiamare la polizia. «Pensano che mi abbiano fatto il lavaggio del cervello. E in un certo senso è vero: Allah me l’ha pulito, mi ha reso tutto più chiaro». Ride. Anche la famiglia di Aisha Uddin, di Birmingham, ha provato a fermarla. «Ma l’Islam ha catturato i miei occhi fin da bambina. Persone gentili, discrete, capaci di guardarsi nell’anima. L’hijab delle donne, per esempio, esalta la possibilità di cercare la propria bellezza interiore. Altro che gabbia, è perfetto. La mia famiglia dica quello che vuole. Non mi importa». Piccole fratture in un Paese in cui l’islamofobia cresce allo stesso ritmo delle conversioni. Le iscrizioni alla English Defence League, partito deciso a cacciare i musulmani dalla Gran Bretagna, sono passate da 1500 a 40 mila in tre mesi. Sarah Joseph, inglese convertita all’Islam, direttrice del magazine Emel, dice che il problema è rinchiuso in cinque parole: «Io sono meglio di te. Chiunque lo dica o lo pensi, per questioni di razza o di religione, compie un imperdonabile atto di superbia. Lasciamo che sia lo spirito a parlare». Si sentivano voci orfane, che reclamavano docilmente il loro posto in qualche luogo, perché dalle nostre parti lo spazio era finito.