CLAUDIO GORLIER, La Stampa 6/1/2011, 6 gennaio 2011
Huck Finn non può essere corretto - Qualche tempo fa il mio amico, il Nobel Wole Soyinka, scherzava con me sulle metamorfosi negli Stati Uniti del termine negro , diventato, nel segno del «political correct», nel corso degli anni prima black , poi Afroamerican e infine African American
Huck Finn non può essere corretto - Qualche tempo fa il mio amico, il Nobel Wole Soyinka, scherzava con me sulle metamorfosi negli Stati Uniti del termine negro , diventato, nel segno del «political correct», nel corso degli anni prima black , poi Afroamerican e infine African American . «Spero», mi disse ridendo «che alla fine si fermino». Magari si fermano, ma certo insistono; a posteriori la New South Books, editrice americana, pubblica a cura dello studioso Alan Gribben una nuova edizione del capolavoro di Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn ( Adventures of Huckleberry Finn ) apparso nel 1885, e provvede per così dire alla ripulitura linguistica di due termini: injun (per indian , indiano d’America), e negro , appunto. È un modo curioso di rinnovare la memoria dello scrittore nel centenario della morte, il 2010. Singolare paradosso per uno scrittore maestro del comico, e nella fase finale del tragico, costretto in vita dalla moglie pudica a sostituire parole che riteneva sconvenienti, e se ne vendicò nel diario. Per negro non può fare altro che rivoltarsi nella tomba. Lo capisco anche troppo bene, visto che sono stato autore, più di quarant’anni or sono, di una storia dei «negri degli Stati Uniti». Poco tempo dopo un serio studioso, Alessandro Portelli, iniziò in Italia la doverosa campagna contro la parola incriminata. Con l’impertinente Mark Twain mi sento in buona compagnia e penso che l’africano Soyinka si diverta.