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 2011  gennaio 07 Venerdì calendario

IO SONO PIÙ QUALUNQUE DI TE

Non rompeteci i coglioni” è il titolo con cui Libero del 2 gennaio ha commemorato con due pagine filologicamente quasi ineccepibili, i cinquant’anni dalla morte di Guglielmo Giannini. La licenza poetica era del tutto legittima: “Vogliamo che nessuno ci rompa più i coglioni” era lo slogan caro a Giannini, brillante giornalista e commediografo leggero, che il 27 dicembre del 1944, in una Roma cinica già delusa dalla sua liberazione, aveva lanciato uno smilzo settimanale al prezzo di 5 lire destinato a suscitare un consenso travolgente e a segnare l’aria della politica del tempo, l’Uomo Qualunque. Già, il “qualunquismo”.
NON ERA la prima volta, per Libero. In effetti la commemorazione di Giannini c’era già stata. Fresca di piombo. Appena il 23 dicembre uno storico di rango, Giuseppe Parlato, affatto nostalgico ma incline allo studio del postfascismo, aveva rimediato in extremis alla disattenzione della cultura di destra, afflitta dal complesso dell’egemonia, che si era lasciata sfuggire l’occasione di scoprire qualcosa e qualcuno da poter commemorare. “La sua proposta politica era apparentemente rozza...”: Parlato non indulge nell’enfasi memorialistica. Ricorda i classici dell’invettiva “qualunquista”: Ferruccio Parri diventato Fessuccio Parmi, Togliatti insignito del titolo di “cosacco onorario”, i “cameragni” per definire i comunisti che prima erano stati camerati, “demo-fradici” per democristiani. Battute che allora dovevano far ridere come il linguaggio deformato di Dagospia oggi. Che giustificano il parallelo qualunquismo-Berlusconi nella vulgata satirica che va da Sabina Guzzanti al Caimano all’imperdibile Qualunquemente di Antonio Albanese . Il ritratto dello storico allievo di De Felice è sobrio, persino impietoso a tratti. Quando per esempio, dopo il primo successo travolgente che porta alla Costituente ben 30 “qualunquisti” individuano nell’apertura di Giannini al Pci, per reazione alla nascita del Msi e all’emergere della centralità democristiana, la ragione principale della crisi dell’Uomo qualunque. Fulminea quanto la sua ascesa.
Nelle epocali elezioni del 1948, Giannini è il vero sconfitto assieme a Togliatti. Nel giro di quattro anni il giornale diventato movimento ha sperperato tutto il suo travolgente consenso politico. Cosa rimane di Giannini? La storia: “Giannini fu l’antesignano di quella serie di giornalisti che, nel dopoguerra, prefigurò la nascita di una destra non fascista basandosi soprattutto sulla carta stampata per costruire un movimento di opinione”, è la teoria di Parlato. Che, da bravo storico cita come prova provata del suo ragionamento gli esempi del Candido di Giovanni Guareschi e poi del Borghese di Leo Longanesi e Indro Montanelli... La galleria non deve essere dispiaciuta a Vittorio Feltri che proprio in quei giorni aveva deciso di rientrare a Libero da quasi padrone nel giornale che aveva fondato come direttore. Ne è nata una seconda commemorazione di Giannini a tambur battente. Un sintomo: la scelta di affrancarsi da Berlusconi pretende in qualche modo di stabilire il primato dell’opinione politica sulla politica dell’opinione. Che Berlusconi sia riuscito, in condizioni storiche di gran lunga più favorevoli, là dove Giannini aveva fallito è materia di studio della storia ventura. Che ci sia riuscito spodestando Montanelli dal suo Giornale sostituendolo proprio con Feltri è dato consolidato nella storia del presente.
SIA STATO un prodotto del berlusconismo maturo o sia il consenso berlusconiano il risultato di un processo di qualunquismo del giornalismo di destra, la domanda pretende lo stesso una risposta: in quali tratti peculiari dell’Italia di oggi si è trasfigurata quell’anima del paese un po’ cinicamente spregiudicata e altrettanto machiavellianamente gaglioffa che Giannini seppe così ben interpretare e raffigurare? Non era la prima volta che un giornale riusciva a guidare un movimento politico. C’era già riuscito Benito Mussolini facendo nascere il fascismo a colpi di editoriali del Popolo d’Italia. Con il linguaggio dei giornali Mussolini era riuscito a capovolgere il sistema di formazione dell’opinione pubblica del tempo. Il parallelo con Berlusconi non è quindi illegittimo: per destrutturare la politica italiana, uscita malconcia da Tangentopoli, ha trovato nel suo armamentario di tycoon televisivo il linguaggio della pubblicità. Feltri ha probabilmente già capito che arrivato Berlusconi a fine corsa, la partita si giocherà tutta sulla capacità di guidare l’opinione pubblica di destra.
Ecco come va letta la riscoperta di Giannini. C’è da scommetterci: seguiranno speciali televisivi, iniziative editoriali, dotti convegni universitari.
NE NASCERÀ un movimento politico? “Il direttore che ha inventato il gioco delle copie” ha già messo le mani avanti con una inequivocabile non possumus: rispondendo a Stefano Lorenzetto nella lunga intervista pubblicata da Marsilio con un titolo inequivocabile, anche se preso da un celebre giornale a fumetti, Il Vittorioso, che gli ha chiesto se per caso non abbia intenzione di “monetizzare” sfruttando in politica la sua popolarità nell’opinione di destra, come fece Guglielmo Giannini nel 1944, Feltri ha sbottato: “No, no, no… Ma come t’è saltato in mente.
Le riunioni, i convegni, le assemblee, le liste elettorali… Mi romperei i coglioni”. Appunto!