Donato Carrisi, Corriere della Sera 06/01/2011, 6 gennaio 2011
DA BREMBATE AL DELITTO DEL LAGO, I SENSITIVI ULTIMA RISORSA
«Non è stato riscontrato niente di anomalo» . È la frase che sancisce la morte di un’indagine, precludendo ogni ulteriore sforzo investigativo. La si trova alla fine di centinaia di verbali. Casi di omicidio ma spesso di scomparsa. Quando le piste evaporano in una nebbia confusa e le tracce improvvisamente svaniscono sotto gli occhi. Basta fare un giro per gli archivi di una Procura per trovarla in calce all’ultima pagina dei fascicoli sui casi irrisolti. Quella frase sul foglio e poi il vuoto, destinata a riecheggiare nel silenzio di un baratro bianco. «Niente di anomalo» . Che nel linguaggio volutamente vago di certe formule contiene la spietata ammissione d’impotenza davanti all’ignoto. Perché è lì, nell’anomalia, che di solito si cela la soluzione di un giallo. In quel dettaglio, magari minuscolo, che apre una crepa nel muro dell’apparenza, lasciando intravedere cosa si nasconde dietro. Un colpevole e, se si è fortunati, la verità. La traccia biologica, un’impronta, poche parole intercettate da una microspia: senza questi errori sarà difficile risalire a chi ha commesso il fatto o a cosa sia realmente accaduto.
E allora ci si aggrappa a tutto. E può accadere che un investigatore esasperato decida di considerare l’aiuto di un medium o di un sensitivo. Di loro non si fa menzione nei rapporti ufficiali, basterebbe questo per inficiare una prova e mandare all’aria un’indagine. Ma accade più spesso di quanto si immagini. Per un poliziotto è una specie di fallimento, ma a una madre che ti domanda ogni giorno che fine abbia fatto la sua bambina è difficile rispondere che si preferisce non dar credito a certe cose, che la procedura non lo prevede, che è irrituale.
Anche nel caso di Yara Gambirasio sono all’opera centinaia di medium e sensitivi o presunti tali. Molti sono mitomani, altri cercano di approfittare della situazione. Perché qualcuno ogni tanto ci azzecca. Andando per esclusione, è probabile che succeda anche per la ragazzina di Brembate. Sempre che alla fine si riesca a giungere a una risposta.
La più famosa «chiaro-udente» — così ama definirsi— d’Italia è Maria Rosa Busi, bresciana. Grazie alle sue capacità fece ritrovare il corpo di Chiara Bariffi. La rinvennero i sommozzatori nel Lario, nel punto esatto indicato dalla sensitiva. Da allora la sua fama è cresciuta parecchio. Certo, non sempre ci ha visto giusto. Come quando dichiarò che il tesoro del Duce era sepolto al Vittoriale o che il piccolo Tommaso Onofri era vivo e con una «madre» che si prendeva cura di lui. Nel caso dei fratellini scomparsi a Gravina di Puglia disse che si trovavano in fondo a un burrone: era vero, anche se si trattava della cisterna di una casa abbandonata. Nessuno prende posizione per difenderla o screditarla definitivamente perché, in fondo, in pochi vogliono davvero avere a che fare con questa materia.
I sensitivi continuano a cercare Denise Pipitone, la bambina di Mazara del Vallo. Erano le 12.00 di una giornata di fine estate, nel 2004: la piccola si trovava per strada, davanti a casa sua. Angela Celentano, scomparsa nell’agosto del 1996, era a un picnic insieme ai genitori. A ben guardare, si svanisce nel nulla sempre in posti familiari, non lontani dalle persone care. La strada della palestra per Yara o quella che conduceva all’abitazione della cugina per Sarah Scazzi. Ed è lì che spesso le indagini si arrestano, nell’impossibilità di varcare una barriera invisibile. Di solito viene usata una frase a beneficio dei cronisti per spiegare ciò che non si può dire, non si vuole dire. «Siamo in attesa di ulteriori sviluppi» . Parole che invece di interrompere la speranza dei familiari, la alimentano, edificando quel dubbio che li imprigionerà per il resto della vita. E quei genitori non rinunceranno mai ad ascoltare la rivelazione del sensitivo di turno. Ditemi almeno se è morta, diranno. Alcuni arrivano ad augurarselo, perché vogliono solo piangere. L’unico desiderio non è rassegnarsi, ma smettere di sperare. Perché la speranza uccide più lentamente.
Donato Carrisi