Federico Fubini, Corriere della Sera 06/01/2011, 6 gennaio 2011
L’ITALIA DELLE RENDITE? GUADAGNA SEI VOLTE DI PIU’ —
Ora sugli aumenti della benzina, o più in genere sull’inflazione che riparte, si litigherà a lungo. Produttori e consumatori l’hanno sempre fatto, senza davvero arrivare a capirsi. Eppure un punto fermo c’è, a guardare nei dati sulle imprese che ogni anno raccoglie il centro studi di Mediobanca: l’Italia è entrata nella grande recessione a due velocità e ne sta uscendo a due velocità ancora più diverse fra loro.
C’è chi corre e chi fatica anche solo a restare (quasi) fermo. C’è chi anno dopo anno registra quote di utile iperboliche, percentuali in doppia cifra alla cinese, e chi fatica a registrare anche solo un segno positivo. C’è chi è costretto ad aprirsi sempre di più al mondo per trovare nuovi mercati e chi invece sceglie una progressiva chiusura sui clienti italiani, che in realtà non hanno molta altra scelta. Le differenze che alimentano questa doppia velocità ovviamente dividono l’una dall’altra imprese nello stesso settore o le aree del Paese fra loro. Ma dalle indagini di Mediobanca, una linea di faglia emerge più profonda delle altre: le società del terziario — servizi come la distribuzione del carburante, le società di rete, le assicurazioni, o i trasporti— registrano una redditività crescente. Oggi è sei volte superiore a quella dell’industria manifatturiera. Poco importa che quest’ultima sia il grande polmone del lavoro dipendente e dell’intera economia italiana: secondo i dati di Mediobanca, nel 2009 il margine operativo netto delle imprese di servizi è salito fino 12,6%del fatturato. Per quanto riguarda invece le imprese manifatturiere, quello stesso valore non va oltre il 2,4%ed è al punto più basso degli ultimi dieci anni. La manifattura in Italia in realtà non è mai stata così poco redditizia, mentre i profitti nel terziario veleggiano a doppia cifra e ben sopra ai livelli di inizio decennio (quando il margine era del 9,2%). La redditività nei servizi non ha quasi risentito della violenta recessione del 2008-2009, limandosi di appena un punto e mezzo dopo il picco al 14%del 2005. Nella manifattura invece è più che dimezzata dal 2007 al 2009.
È possibile che le imprese dei servizi guadagnino di più solo perché sono gestite meglio. È possibile, ma in molti casi improbabile: la loro esposizione al resto del mondo in realtà sembra indicare il contrario. Per l’esattezza, crisi o non crisi, durante il primo decennio del ventunesimo secolo il settore manifatturiero italiano si è aperto sempre di più ai mercati globali. I servizi si sono invece sviluppati in senso opposto, arroccandosi progressivamente sempre di più nella fortezza dell’economia italiana. Tolta l’energia e le costruzioni, la quota dell’export sul fatturato totale dell’industria è infatti salita dal 37,8%del 2000 al picco del 42,6%del 2008. Al contrario, la quota dell’export sul fatturato totale dei servizi si è ristretta dal (già basso) 5,2%del 2000 al marginalissimo 3,6%del 2009.
Questi numeri suggeriscono una spiegazione dell’alta redditività di molti settori del terziario, dalla distribuzione di carburante, alle società municipalizzate per le reti idriche o di raccolta rifiuti: hanno poca concorrenza, dunque possono imporre prezzi più alti e godono di margini più ampi. Al contrario le imprese manifatturiere competono di più con l’estero, anche sui costi, di conseguenza lavorano con margini ridotti all’osso.
È vero il peso sull’economia dei due settori è diverso: il fatturato netto dei servizi è di circa cento miliardi di euro, per quattrocentomila dipendenti, mentre quello della manifattura è di 284 miliardi per ottocento mila addetti. L’industria vale quasi il triplo. Ma per scovare le rendite che alimentano l’inflazione, i margini e l’arroccamento nazionale nei servizi appaiono spie d’allarme più efficaci di qualunque altra.
Federico Fubini