Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 06/01/2011, 6 gennaio 2011
NELLA FAVELA DEL CAIRO COPTO: «SIAMO PRONTI AL MARTIRIO» —
«Non sarebbe facile per i terroristi arrivare quassù e poi ci sarà polizia ovunque, perfino lungo il bordo della montagna qui sopra, pronta a sparare. E se proprio dobbiamo morire la notte del nostro Natale, sia fatta la volontà del Signore: andremo in Paradiso, saremo martiri» . Emile, 21 anni, copto, dice di non temere per la Spazzatura Copti nel quartiere degli zabbalin, i raccoglitori di spazzatura maiali che ora purtroppo non ci sono più» . Due anni fa, con la giustificazione della febbre suina, migliaia di animali «impuri» furono abbattuti, privando i 30 mila zabbalin, che li nutrivano con rifiuti organici, di un guadagno importante, sostituito ora in parte da pecore e capre. L’ennesimo attacco alla comunità, avevano protestato invano. «Ma è niente in confronto a quanto successo ad Alessandria — continua Hanna —. Adesso che grazie a San Simone il villaggio ha ritrovato la fede, siamo arrabbiati per la strage dei nostri fratelli ma non abbiamo paura. Dio ci protegge, papa Shenouda ci guida, il governo si è finalmente accorto di noi o così speriamo» . Anche altri, pur devastati dal peggior attacco contro la comunità da un decennio, vedono qualche spiraglio di luce. «Da questa disgrazia terribile, per la prima volta è nata una solidarietà con molti musulmani, forse perché è successo nel centro di una grande città e non nel Sud o nelle periferie come in passato, era ora» , dice Christine, che nel villaggio degli zabbalin lavora in un minuscolo emporio vendendo lumini con la Vergine, quadri in gesso di santa Apollonia, sigarette e biscotti. Vestita stranamente elegante visto il posto, una cliente ag- islamici) di Al hanno la emettere fatwa questioni condotta di società del musulmano di negli «li il verso la stavano chiesto giunge: «Ora Mubarak dovrà per forza lasciarci costruire le chiese, dovrà concederci uno statuto personale che ci permetta ad esempio di divorziare e risposarci, cosa vietata a tutti cristiani, credenti e no: non dovrei dirlo, ma è vero che qualche volta ci sono conversioni all’Islam proprio per questo. E soprattutto dovrà far condannare chi ha ucciso cristiani, finora non è mai successo» . A un anno esatto dalla strage di Naga Hammadi, non lontano da Luxor, quando la messa di Natale si concluse con l’omicidio di otto copti, non c’è ancora nessun colpevole. Né per altri crimini analoghi che negli anni hanno causato decine di morti. «Anzi, siamo noi a finire in galera, ci attaccano, non abbiamo diritti e pure ci arrestano. Ad Omraneiya io c’ero, avevamo ragione ma i cristiani che hanno messo dentro li hanno rilasciati solo dopo la strage di Alessandria e le proteste di piazza» , denuncia il tassista Marcel, nell’ingorgo infernale verso la Cairo Copta. Omraneiya, vicino alle piramidi, è il quartiere dove in novembre la polizia attaccò un edificio che i copti stavano trasformando in chiesa dopo aver chiesto invano la licenza. Ci furono due morti cristiani e scontri che segnarono la prima reazione dura della comunità esasperata contro le forze dell’ordine. «Paura di altri attentati?— continua il tassista —. Proprio no: meglio andare in Paradiso che stare in questo inferno. Non credo che cambierà molto per noi, se l’America non interviene saranno ancora guai» . Nella Cairo copta o Babilonia, tra i turisti che visitano il più antico insediamento cristiano con chiese (e sinagoghe) millenarie, a parte i posti di blocco e le decine di poliziotti distratti tutto pare sereno come sempre. Ma davanti alle icone dei santi sono in molti con il viso scuro. «Prego Mar Ghirghis, San Giorgio, perché ho un esame tra poco, di solito non ho paura ma con il clima di terrore che c’è tutto mi pare così difficile ora, è un Natale di sangue» , sussurra Terese, piangendo. Il sacrestano la guarda e scuote la testa: «Dio è con noi, ma è vero che è un momento terribile per i cristiani d’Egitto. Speriamo non succeda più niente» . Poco più in là, nel centro di informatica per giovani gestito dai religiosi, il «parroco» della chiesa di Santa Barbara condivide i timori. «All’inizio forse cambierà qualcosa ma poi chissà, con tutti i fanatici musulmani che sono in giro — dice Abuna Sarabamun —. Anche tra noi ce ne sono ma non così violenti e pericolosi. E la nostra Chiesa cerca di renderli pacifici, di far capire a tutti quello che diceva San Paolo: la fede è più forte di ogni arma. Ma a poche ore dalla celebrazione del Santo Natale posso dirle che l’allarme è alto. Mi chiede se ci sentiamo al sicuro qui? Lo siamo come lo erano i fedeli di Alessandria all’uscita dalla messa di Capodanno» .
Cecilia Zecchinelli