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 2011  gennaio 06 Giovedì calendario

LA MALEDIZIONE DELLO SCIA’. SUICIDA UN ALTRO DEI FIGLI

L’esilio, i tradimenti e il suicidio di due figli: la maledizione dello Scià. Dieci anni dopo Leila, anche Alireza, secondogenito dei Pahlavi, si è ucciso.
«Alireza dovrebbe calzare gli stivali del nonno, l’uomo che aveva abolito il turbante dei mullah» , auspicava qualche monarchico dal sangue caldo. Scontento della linea morbida del leader in esilio, Reza Ciro, c’era chi auspicava il ricambio. Un agitarsi che aveva infastidito Farah Diba, l’ex imperatrice dell’Iran: «Devono lasciare in pace i miei figli» , era stato il suo messaggio rivolto ai sostenitori. Non si sbagliava. Alireza, il secondogenito dei Pahlavi, era troppo fragile. E, dal 2001, quando si era tolta la vita sua sorella Leila, soffriva di depressione. Lo assaliva l’angoscia. Provava un senso di abbandono e di solitudine. Gli stessi sentimenti che affliggono tanti iraniani costretti a scappare dalle persecuzioni degli ayatollah. Alla fine, la disperazione ha preso il sopravvento: Alireza, 44 anni, si è tolto la vita martedì con un colpo di pistola nel suo appartamento di Boston. Un epilogo annunciato dalle parole del fratello Reza Ciro: «Era profondamente turbato dai mali che affliggono la sua amata terra, così come dal peso di aver perso il padre e la sorella in giovane età» . Secca, invece, la notizia della tv iraniana: «Il figlio dell’ex dittatore si è tolto la vita» .
Nella saga orientale dei Pahlavi la luce della ricchezza e dei fasti imperiali è stata presto offuscata dal buio della morte. E dal tradimento. Quasi una maledizione che ha accompagnato la famiglia dopo la vittoria della rivoluzione islamica nel 1979. Prima coccolato dall’Occidente, lo Scià viene lasciato al suo destino. Gli americani non fanno nulla per salvare il suo trono e i francesi fanno di tutto per spianare la strada a Khomeini. In Europa sono in tanti ad esultare, facendo finta di non capire chi siano i mullah. E lo Scià, paragonato a un satrapo, è costretto alla fuga. Gli amici di un tempo gli voltano le spalle e lui muore in Egitto nell’ 80, uno dei pochi Paesi disposto ad accoglierlo. L’esperienza— raccontano i monarchici — segna la famiglia. Non sono certo dei profughi spiantati, ma la scomparsa del padre è un trauma comunque. I reali provano a reagire. Reza Ciro prende la guida del movimento, Farah Diba resta in posizione defilata, anche se ha sempre un parere influente, gli altri tre figli cercano di trovare il loro spazio. Non è facile.
L’Iran è cambiato, la monarchia è associata all’epoca della repressione e, sopratutto, il mondo si è abituato agli ayatollah fino a tollerarne gli eccessi. «Uccidono, mettono bombe contro americani e francesi, prendono ostaggi, alimentano il terrore — ricorda con emozione Alì Karbalai, un simpatizzante da anni in Italia —. Eppure tutti fanno affari con Teheran» . Per gli oppositori è come vivere un secondo tradimento.
La prima a cadere è Leila, 31 anni. Era molto attaccata al padre e non ha mai assorbito il colpo della sua scomparsa. La troveranno senza vita nella sua residenza londinese l’ 11 giugno 2001, forse uccisa da un cocktail di farmaci. «Era molto giù» , diranno gli amici. E pochi mesi dopo, l’ombra nera che insegue i reali si porta via Soraya, «la principessa triste» . Seconda moglie dello Scià, era stata ripudiata perché non poteva avere figli e il suo posto al fianco del sovrano verrà preso da Farah Diba.
Con il crescere delle proteste in Iran, gli eredi dello Scià provano a rilanciare il loro ruolo politico. Reza Ciro è prudente, contrario ad avventure militari. Saranno i miei connazionali— afferma dall’America— a decidere con il voto quale sistema adottare. Alireza, invece, preferisce dedicarsi agli studi accademici malgrado gli appelli di chi preme per una svolta. Non si è mai sposato ma è stato a lungo fidanzato con una ragazza di origine iraniana, Sarah. Come molti sogna il ritorno in patria. Perché gli esuli — siano figli di re o di operai — non hanno dimenticato che «le radici sono laggiù» . E gli ayatollah non riusciranno a reciderle.
Guido Olimpio