Andrea Malan, Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 6/1/2011, 6 gennaio 2011
SU CHRYSLER IL MERCATO ACCORCIA I TEMPI - I
fatti sono questi. Il 16 settembre l’assemblea Fiat approva la scissione. Il 18 novembre Goldman Sachs è già "bullish" con un target di 21 euro. Lo spaccato delle due Fiat va anche oltre: per gli analisti della banca Usa il titolo dell’auto può arrivare a 10,1 euro, quello di camion e trattori a 11,5. Il 4 gennaio Goldman comunica la sospensione della copertura del titolo Fiat Spa per «ragioni legali relative a una o più potenziali transazioni legate a un’affiliata». Il mercato fa 2+2: ha un mandato!
Già, ma quale? E qui si sprecano le illazioni. Alfa Romeo? Potrebbe forse essere venduta, ma se fosse pagata a peso d’oro. Ferrari? Potrebbe esserne ceduto un pezzo in private placement, o forse più probabilmente in Ipo, ma non ci sono segnali di un’operazione imminente. Magneti Marelli? È da anni nell’elenco delle dismissioni possibili, e a metà novembre è stata confermata tra le attività da «valorizzare», ma non sembrano esserci tempi stretti.
Allora Chrysler? Ecco, piuttosto è lì che si gioca tutto. Il Lingotto, oggi al 20% della casa di Detroit, può salire al 35% senza esborsi cash al verificarsi di determinate condizioni. Ma ha anche in mano un’opzione per acquistare un ulteriore 16% dal gennaio 2013 al giugno 2016, o prima qualora fossero rimborsati tutti i finanziamenti pubblici di Stati Uniti e Canada. L’Ipo Chrysler farebbe differenza: dopo Fiat pagherebbe i prezzi di mercato, mentre prima pagherebbe un multiplo dell’Ebitda dei quattro trimestri precedenti, pari al più basso tra quello della stessa Fiat Spa e quello di un paniere di concorrenti (cifra che Barclays ha stimato in 480 milioni di euro). Salire in Chrysler prima dell’Ipo penalizzerebbe però gli altri soci e Sergio Marchionne, numero uno di entrambe le case automobilistiche, dovrebbe convincere i rappresentanti di Tesoro e sindacati Usa a dargli il via libera nel board. Con quali armi? In base alle clausole dell’accordo, Fiat ha un diritto di veto sul ritorno in Borsa di Chrysler fino al 2013. Ma gli attuali azionisti hanno invece tutto l’interesse (politico per il governo, economico per la Uaw) ad accelerare su Wall Street. È ipotizzabile quindi un altro do ut des. L’occasione è ghiotta: sull’auto Wall Street è in visibilio (qualcuno dice già "in bolla"). Gm è risorta dalle ceneri del Chapter 11 con un’Ipo prezzata 0,4 volte il fatturato e da metà novembre quando è tornata in Borsa è salita dai 33 dollari del primo giorno ai 38 di ieri. Ford, che si è rimessa in carreggiata senza aiuti, è volata dagli 1,26 dollari del 2008 a quasi 18 dollari, un livello che non vedeva dal 2003. Comprare oggi per rivendere domani in Borsa potrebbe rivelarsi un ottimo affare. Tant’è che le banche d’affari di mezzo mondo sono già in pista per cercare di aggiudicarsi un mandato. Piatto ricco fatto di necessari rifinanziamenti del debito, di potenziali cessioni e di Ipo. E Goldman? Guarda caso è proprio la banca che ha messo sul piatto 450 milioni di dollari per una quota di Facebook che valorizza il social network addirittura 50 miliardi di dollari, prenotandosi così un ruolo di prima fila nell’ipotizzabile futuro collocamento. E se la tattica fosse sempre la stessa? Si tratterebbe di convincere l’azionista di maggioranza, cioè i sindacati, a vendere subito, senza più accollarsi per la parte eventualmente ceduta nè rischio d’impresa nè rischio di mercato. La logica fila, tutto sta a vedere se si riuscirà a conciliare i diversi interessi. Ma c’è un particolare: Goldman non avrebbe ancora un mandato in tasca e lo scrupolo della ricerca di sospendere la copertura del titolo sarebbe solo un «eccesso di zelo».
Intanto il titolo di Fiat spa continua a sorprendere. In Borsa ha chiuso anche ieri in rialzo del 2,07% a quota 7,63 euro: a dare il tono (si veda il grafico) sono gli scambi della mattinata, quando Wall Street è ancora chiusa. Prosegue anche il forte recupero delle azioni privilegiate (+6,3% a 6,22 euro) e di risparmio (+8,1 a 6,235), che hanno ristretto lo sconto sotto al 20%. Industrial, invece, che è percepita come più "solida", ma anche come più "consolidata" e meno speculativa, ha ceduto un altro 1,3% a 8,685 euro, allontanandosi dai 9 euro dell’esordio. Proprio ieri Moody’s le ha assegnato il suo primo rating: Ba1, come la sorella dell’auto, ma, a differenza di quest’ultima che ha outlook negativo, con prospettive stabili. Nel frattempo la società scorporata si riorganizza. È stato infatti costituito l’Industrial executive council (un super-comitato esecutivo), che sarà presieduto da Marchionne e composto dagli ad delle controllate e dai responsabili delle funzioni chiave: i primi sono Harold Boyanovsky per Cnh, Alfredo Altavilla per Iveco, Giovanni Bartoli per Fpt Industrial; i secondi sono Monica Ciceri (group control), Camillo Rossotto (treasurer e financial services), Linda Knoll (risorse umane), Roberto Russo (general counsel) e Alessandro Nasi (business development e segretario).