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 2011  gennaio 06 Giovedì calendario

L’IDEA ANTI-DEBITO? FOTOCOPIAMO IL PIANO GM

Uno degli aspetti più strabilianti della crisi finanziaria del 2008 fu l’impreparazione del governo americano di fronte all’evolversi degli eventi. Anche ammesso (e non concesso) che prima del salvataggio di Bear Stearns il collasso di una grossa banca non fosse prevedibile, dopo non c’erano più scuse. Ciò nonostante, per esplicita ammissione di un funzionario del Tesoro, il piano di emergenza studiato da Washington tra marzo e settembre 2008 fu la prima versione del Troubled assets relief program (meglio noto come Tarp): tre pagine prive di dettagli, dettagli che richiesero due mesi per essere chiariti. Un piano ben congegnato per affrontare l’insolvenza di grosse istituzioni finanziarie avrebbe potuto evitare la peggiore crisi del dopoguerra. Invece, a detta di tutti gli osservatori, il più potente governo al mondo agì alla giornata, aumentando l’incertezza se non il panico.

Viene quindi legittimo domandarsi se l’Unione Europea e l’Fmi stiano elaborando dei "contingency plans" in caso di eventi improbabili ma non impossibili sul fronte europeo, come la necessità di ristrutturare il debito pubblico di uno o più stati. Ovviamente, come i piani di evacuazione in caso di guerra nucleare, ci sono ragioni per tenere questi piani segreti. Quindi, se fossi un ottimista concluderei che questi piani esistono, ma sono segretati. All’ottimismo della volontà, io preferisco il pessimismo della ragione. E la ragion politica vuole che questi piani non esistano.

In un mondo dominato da WikiLeaks, sarebbe troppo pericoloso per qualsiasi politico e banchiere centrale essere scoperto a elaborare strategie di questo tipo. Come potrebbe Dominique Strauss-Kahn competere per la presidenza francese se gli fosse attribuita la paternità di un contingency plan che, inevitabilmente, sarebbe penoso per molti? Come potrebbe Mario Draghi aspirare alla poltrona di governatore della Bce se si scoprisse che ha studiato come consolidare il debito italiano? Come potrebbe la Merkel rassicurare i partner europei se risultasse che anche lei ha elaborato un piano di ristrutturazione del debito tedesco nel caso lo stato debba intervenire a salvare le banche? Meglio evitare il rischio, rattoppare temporaneamente la situazione, trasferendo i problemi al successore.
Discutere apertamente un contingency plan può essere pericoloso. Il possibile può essere frainteso come probabile, generando il panico. Il non farlo, però, può essere ancora più pericoloso. Senza una chiara idea di quello che può succedere, il mercato teme il peggio, creando il panico. Durante la crisi asiatica del 1997, uno dei problemi maggiori fu che non esistevano delle chiare regole per gestire le insolvenze delle grosse imprese. Questo contribuì ad acuire la crisi. Oggi il vero problema è che non c’è un’idea di come si possa gestire una crisi di insolvenza di uno stato. Gli esempi recenti che abbiamo (Russia e Argentina) sono terrorizzanti. Ma un’insolvenza di uno stato non deve necessariamente essere così traumatica per i creditori. Affrontiamo quindi il tabù. Se uno stato sovrano deve ristrutturare il proprio debito, come può farlo nel modo più indolore?
L’esperienza dell’America Latina dei primi anni 80 suggerirebbe un allungamento delle scadenze a tassi inferiori a quelli di mercato. Ma questo sistema funziona molto bene quando la crisi è principalmente una crisi di liquidità e i tassi di mercato sono molto elevati, quindi un loro taglio comporta una forte riduzione del peso del debito. Nel caso di Grecia, Irlanda e possibilmente Spagna, questo non sarebbe il caso. Il problema non è una crisi di liquidità, ma una crisi di insolvenza, che nasce da una incapacità dell’economia di crescere in modo sufficiente da sostenere il debito. Con l’1% di inflazione e una crescita reale inferiore all’1%, anche un deficit del 3% del Pil non è sostenibile nel lungo periodo.
Con tassi di interesse bassi come quelli attuali, un’allungamento delle scadenze e una riduzione dei tassi ha un effetto molto limitato sul deficit. Per risolvere il problema è necessario un forte avanzo primario. Per ottenerlo, però, occorre una forte contrazione fiscale, che può avere effetti negativi sulla crescita (specie in assenza di una svalutazione). Se l’effetto sulla crescita è elevato, il debito può risultare ancora più insostenibile dopo una contrazione fiscale.
La Russia nel 1998 e l’Argentina nel 2001 imposero dei costi molto più pesanti ai creditori (50% nel caso russo e 70% nel caso argentino). Tagli di questa entità darebbero più sollievo alle finanze pubbliche, ma in paesi finanziariamente più evoluti avrebbero effetti disastrosi. Il sistema bancario sarebbe immediatamente insolvente, con le gravi conseguenze economiche che questo comporta.
In questo campo gli stati hanno molto da imparare dalle imprese. Prendiamo ad esempio la bancarotta di General Motors, uno dei turnaround più di successo degli ultimi anni. La ristrutturazione non si è limitata a ridurre il debito, ma ha anche ridotto i benefici medici e pensionistici dei dipendenti ed ex dipendenti, e ha trasformato parte dei debiti in azioni. Sarebbe utile se l’Fmi o l’Unione Europea preparassero un piano simile per le nazioni in difficoltà. Un piano che divida equamente la pena tra i creditori finanziari e i creditori non finanziari (spesa medica e pensionistica).
Quanto alla trasformazione di parte dei debiti in azioni, questo sembra impossibile per uno stato, perché non esistono quote azionarie di Pil. Ma nulla proibisce di creare dei titoli simili, per esempio dei titoli che pagano in funzione della crescita reale del Pil. Negli anni in cui il Pil cresce del 3%, il titolo paga il 3% di interessi, ma quando il Pil non cresce, il titolo non paga interessi.
Il vantaggio di un titolo di questo tipo è che ridurrebbe il rischio di una spirale negativa, dove una manovra per ridurre il deficit ha effetti negativi di crescita: aumentano il peso del debito e quindi richiedono una nuova manovra fiscale e così via. Con dei titoli legati all’andamento del Pil, se la contrazione fiscale ha effetti negativi di crescita, la spesa per interessi si reduce automaticamente. D’altro canto, se la manovra fiscale riesce e il Pil cresce, i creditori ne traggono un beneficio diretto. Come nel caso di Gm, alcuni di questi titoli potrebbero essere dati come parziale compenso per la riduzione dei benefici medici e pensionistici. Questo scambio renderebbe un taglio delle pensioni più facilmente vendibile da un punto di vista politico, perché darebbe ai pensionati una speranza di recuperare i propri diritti se la manovra riesce.
Un chiaro piano di questo tipo non eliminerebbe il costo di un default, ma lo ridurrebbe di molto, perché aiuterebbe le banche e gli investitori a pianificare per questa spiacevole eventualità, evitando il rischio di un panico. Come dicono gli inglesi, il diavolo che si conosce è meglio di quello che non si conosce. Ma ai politici conviene continuare a pretendere che il diavolo non esiste.