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 2011  gennaio 05 Mercoledì calendario

Biografia di Nino Bixio


Di solito i cognomi hanno una strana corrispondenza con chi li porta. Di sicuro non è stato così per i figli dell’orafo chiavarino Tommaso Bixio. In genovese bixio (che si legge bijo, alla francese, e che perciò ha originato anche il cognome Bisio) significa bigio, grigio, senza colore. Niente di più inadatto per i quattro fratelli (un quinto era morto giovanissimo) che hanno incarnato con la lor oesistenza tutti i possibili cromatismi, ogni percorribile contraddizione della vita. Gianbattista si era arruolato nella Marina britannica arrivando a conseguire il grado di guardiamarina: sarebbe morto a Singapore o - secondo un’altraversione - in Brasile dopo una rocambolesca indiserzione: in ognicaso la sua esistenza si perde nell’avventura e nella leggenda. Alessandro aveva fatto Francia, diventando un ricco banchiere e un influente politico amico di Napoleone III, oltre che un generoso mecenate di letterati: era stato fra i fondatori della Revuedes Deux Mondes. In totale contrasto con le scelte molto laiciste dei fratelli, Giuseppe si era fatto gesuita ed era andato in missione presso le tribù del più lontano West; a Richmond in Virginia era stato accusato di contrabbandare armi a favore dei sudisti durante la guerra di secessione: ha finito la sua rocambolesca vita religiosa a San Francisco.
IL PIU’ FAMOSO

Il più noto di tutti è però Gerolamo,detto Nino. Dopo anni sul mare, nel 1848 ha iniziato la sua carriera di combattente coraggioso e temerario, che lo vede protagonista di atti eroici e sventati nella prima guerra di indipendenza e nella difesa della Repubblica romana. Nel 1852 organizza un tentativo di rapimento dell’imperatore Francesco Giuseppe, che abortisce ma che rivela nella sua pienezza il carattere guascone, spavaldo, “esagerato”, di Bixio. Massone, mangiapreti, Nino è un gradasso sempre pronto a menare le mani, che non conosce il confine fra la temerarietà e la violenza. I suoi attacchi di collera sono famosi. Dopo avere inscenato il finto sequestro dei due battelli della società Rubattino, Bixio assume il comando del Lombardo, che esercita con precaria perizia nautica ma con estremo vigore disciplinare. Ha raccontato Giuseppe Cesare Abba: «In un certo momento, mentre gli animi erano agitati così, Bixio chiamò tuttia poppa. Era furioso. Aveva scaraventato un piatto in viso a uno che s’era lamentato dei superiori, e aveva perduto a lui il rispetto. -Tutti a poppa! - E Bixio di lassù,dal ponte delcomando,frementecome un’aquila librata sull’ali, già per piombare sulla preda, parlò:“Io sono giovane, ho trentasette anni ed ho fatto il giro del mondo.Sono stato naufrago, prigioniero,ma sono qui e qui comando io. Qui io sono tutto, lo Czar, il Sultano,il Papa, sono Nino Bixio. Doveteubbidirmi tutti: guai chiosasse un’alzata di spalle, guai chi pensasse d’ammutinarsi. Uscirei col mio uniforme, colla mia sciabola, con le mie decorazioni, e vi ucciderei tutti. Il Generale mi ha lasciato, comandandomi di sbarcarvi in Sicilia. Vi sbarcherò. Là mi impiccherete al primo albero che troveremo, ma in Sicilia, ve lo giuro, vi sbarcheremo».
Prende a male parole il povero La Masa, ma riesce a tenere in riga i suoi indisciplinatissimi volontari. A Bronte esagera di nuovo: reprime una rivolta contadina (per altro ispirata dai proclami garibaldini sulla distribuzione delle terre ai braccianti) con ferocia e cinismo. Fucila senza processi, senza riguardi e pietà. Nel corso della campagna rafforza la sua fama di duro e di sanguinario. Il 7 settembre del 1860 Garibaldi gli telegrafa di imbarcare con urgenza le truppe che sono concentrate nel porto cosentino di Paola. Sotto un caldo soffocante gli uomini sono stipati sui bastimenti in piedi per occuparemeno spazio possibile.


UNA CRISI DI RABBIA
Ciononostante gli ultimi trecento non trovano posto. Riporta Roberto Martucci: «Tutto accadde all’improvviso. Bestemmiando in dialetto e in preda a una violenta crisi di rabbia, Nino Bixio salì a bordo dell’Elettrico e si fece largo nella calca, menando fendenti micidiali con una carabina impugnata a guisa di clava, fracassando le teste dei malcapitati volontari tedeschi e ungheresi della colonna Eber. Ad uno di essi,un giovane trombettiere ungherese, il collerico generale genovese “aveva offeso così crudelmente il cranio, da lasciar poca o punta speranza di sopravvivere sino al dì venturo”; sottratto per miracolo al linciaggio per l’intervento di alcuni ufficiali e imbarcato a forza su uncanotto, Bixio continuava a urlare a perdifiato e minacciava ancora mentre la barca lo traeva via, e non ristette dal gridare e dal maledire sinché non fu a terra». Sul Volturno si batte molto bene e lo stesso fa - diventato general edell’esercito italiano - in tutte le guerre successive: a Custoza nel 1866 è uno dei pochi comandanti a mostrare capacità e lucidità. Nel 1870 occupa Civitavecchia dopo avere sparato un ultima tum inperfetto stile bixiano: «Ho 12.000 uomini di terra, dieci corazzate, cento cannoni sul mare. Per la resa non accordo un minuto di più di 24 ore altrimenti domani mattina si chiederà dove fu Civitavecchia». Alla presa di Roma nel 1870 la fa grossa di nuovo e continua a cannoneggiare la città anche dopo che è stata firmata la resa: è il vecchio anticlericale massone che viene fuori.
È nominato senatore e partecipa alla vita politica nelle file della sinistra. Qualcosa però non va: l’Italia che è stata costruita non gli piace. Alla sua antica inquietudine si somma la delusione per gli sviluppi politici della vicenda risorgimentale ,che è comune a tanti uomini che hanno fatto l’Italia ma che non sono soddisfatti del risultato: da Garibaldi a D’Azeglio, da Nuvolari allo stesso Mazzini. In molti si “adattano”godendo dei benefici della loro nuova condizione di potenti, d i“eroi delle patrie battaglie”, altri sifanno da parte a covare rancori ed isillusioni. Bixio non è tipo da farfinta di niente, da rifugiarsi in un tranquillo mugugno.
Esplode: si dimette dall’esercito e lascia il posto in Senato sbattendo la porta. È isterico ma onesto:non si è arricchito, come molti altri, per meriti patriottici. Così è costretto a chiedere l’aiuto finanziario del fratello Alessandro per armare un piroscafo, il Maddaloni,e riprendere a navigare. La fortuna che l’ha assistito incento assalti sconsiderati gli ha giratole spalle: muore di colera, all’età di 51 anni, sull’isola di Sumatra,c ome un eroe salgariano. Non era uno stinco di santo, erau n personaggio insopportabile, prepotente e violento, ma era integro, coraggioso e coerente.
Aveva insomma le palle, voleva sempre essere il primo: è stato il primo “pentito” del Risorgimento.