Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 07/01/2011, 7 gennaio 2011
I GIOVANI IN PIAZZA DAL FASCISMO A OGGI - I
recenti «movimenti» di piazza studenteschi hanno fatto tornare la mia mente agli anni della gioventù. Epoca: 1938-1940, località: Roma, Piazza dei Cinquecento, Istituto Massimo (Padri Gesuiti). Dalla vicina università giungevano periodicamente davanti al Massimo centinaia di studenti universitari chiedendo a viva voce (o a vive urla) che noi (studenti liceali, ecc) ci unissimo al loro corteo per recarsi a manifestare a Piazza Venezia e all’Ambasciata di Spagna la «gioia» per la «liberazione» di Valencia o di Barcellona o per la fine della guerra. Idem nell’epoca immediatamente successiva, per recarsi alle Ambasciate di Francia e Gran Bretagna per reclamare la «restituzione» di Malta, Tunisi, Corsica, ecc. Nella realtà le vere motivazioni degli universitari erano di far «cagnara» e di acquistare meriti per pretendere il 18 fascista (così allora si chiamava), e la nostra di far «cagnara» e di saltare un giorno di scuola (in particolare se era un giorno di compito in classe). Le manifestazioni erano abbastanza pacifiche perché le autorità non avrebbero consentito disordini. I Padri Gesuiti quasi sempre ci lasciavano uscire anche per evitare grane. Mi domando (e giro anche a lei la domanda) se le vere motivazioni dei manifestanti odierni non siano in realtà molto diverse da quelle dei manifestanti di allora.
Gianfranco Farinelli
Roma
Caro Farinelli, il regime fascista praticava il culto della giovinezza e si considerava «giovanile» anche quando i suoi gerarchi cominciarono a ingrassare e a invecchiare. Nelle manifestazioni organizzate per i giovani cercava di mettere in scena le sue origini e di tenere accesa la «fiamma della rivoluzione» . Vi furono momenti in cui la gioventù sembrò effettivamente essere una reale preoccupazione del governo e del partito. Penso all’importanza che i Littoriali ebbero per la cultura italiana degli anni Trenta. Penso in particolare all’attenzione, segnalata da Indro Montanelli, con cui Mussolini seguiva i giornali dei Guf (gruppi universitari fascisti) e delle federazioni giovanili del partito. Ma nella maggior parte dei casi il regime fu soltanto «giovanilista » e i raduni giovanili divennero liturgie sempre più noiose e annoiate. Le manifestazioni «spontanee» di cui lei parla nella sua lettera erano comandate da quei federali del partito che volevano esibire la loro capacità organizzativa e accumulare punti per la loro carriera. Nei regimi autoritari uno dei maggiori rischi è rappresentato dallo zelo dei sottoposti, sempre ansiosi di anticipare la volontà del capo. Le manifestazioni delle scorse settimane sono alquanto diverse. Nascono nelle università, dove il malessere giovanile è più evidente, e colgono di sorpresa sia i partiti politici, sia le organizzazioni sindacali. È accaduto in Gran Bretagna, dove il sindacato ha cominciato ad appoggiare la protesta soltanto negli scorsi giorni. È accaduto in Italia dove l’opposizione ha fatto del suo meglio per salire su un cavallo che si era messo a correre senza attendere i suoi ordini. Ma anche queste manifestazioni, nonostante la loro maggiore spontaneità, sono spesso riti e liturgie. Il loro archetipo è il sessantotto, vale a dire l’epoca della grande rivolta studentesca, e i loro strumenti, fra cui l’occupazione, sono quelli maggiormente sperimentati in quegli anni. Fra i manifestanti vi sono coloro che hanno idee abbastanza confuse sugli obiettivi da raggiungere, i giovani ambiziosi che fanno le prime armi della loro futura carriera politica, i ragazzi che hanno bisogno di scaldarsi il cuore nel crogiolo di un’azione collettiva. E vi sono infine i gruppuscoli, come si chiamavano nel ’ 68, che cercano di trasformare l’occasione in una battaglia contro l’ «ordine capitalista» . Nel caso di questi ultimi, caro Farinelli, la parola «cagnara» è troppo poco.
Sergio Romano