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 2011  gennaio 07 Venerdì calendario

LE DOPPIE VERITÀ - C’ è

un rapporto riservato, trasmesso alla magistratura militare e a quella ordinaria, che descrive le fasi dello scontro a fuoco durante il quale è stato ucciso il 31 dicembre scorso il caporalmaggiore Matteo Miotto.
È arrivato negli uffici giudiziari ieri mattina, ma è stato stilato il 3 gennaio 2011. Tre giorni dopo la morte dell’alpino italiano la polizia militare delegata agli accertamenti aveva dunque già ottenuto la versione che il ministro della Difesa Ignazio La Russa denuncia aver appreso soltanto quarantotto ore dopo. E ulteriori accertamenti erano stati affidati ai carabinieri del Ros. Nelle relazioni coperte dal segreto e destinate a chi deve stabilire l’esistenza di eventuali reati commessi dai responsabili del contingente che si trova in Afghanistan, sono state subito elencate le circostanze che hanno portato alla tragedia. E questo mentre a livello mediatico e politico, stando a quanto dichiarato dallo stesso La Russa, veniva accreditata— o quantomeno non smentita— una ricostruzione ben diversa, che avvalorava l’ipotesi del cecchino solitario. È il problema della «doppia verità» che più volte si è posto da quando le truppe sono impegnate in Afghanistan e prima in Iraq. Perché in realtà rimane irrisolto il nodo che fa da sfondo alla missione: le regole di ingaggio e i cosiddetti caveat, le limitazioni imposte al momento dell’invio dei reparti, votati dal Parlamento. Ufficialmente l’Italia è in missione di peacekeeping. Vale a dire che tra i suoi compiti c’è quello di mantenere la pace tra le parti in conflitto e l’addestramento della polizia locale. La verità è però ben diversa: il contingente è infatti schierato in «teatro di guerra» e viene sempre più spesso coinvolto in vere e proprie battaglie al pari di statunitensi e britannici. Basti pensare che gli italiani hanno il comando di un’intera area e quale sia il livello di rischio è dimostrato dalla scelta — effettuata prima dal governo guidato da Romano Prodi e poi da quello di Silvio Berlusconi — di potenziare gli armamenti e i mezzi blindati a disposizione proprio per cercare di limitare al massimo i pericoli. I casi di versioni modificate, o addirittura clamorosamente smentite, riguardano soprattutto la missione irachena, quando i militari» italiani erano di stanza a Nassiriya. Bisogna dunque tornare al 2004 e all’ormai famosa «Battaglia dei ponti» che nell’agosto di quell’anno vede i soldati impegnati in un conflitto andato avanti per giorni. L’indagine della procura militare e di quella ordinaria vengono avviate dopo il rilascio del giornalista statunitense Micah Garen, sequestrato per dieci giorni dai miliziani dell’Esercito del Mahdi il 12 agosto 2004. È il portavoce del leader sciita Moqtada Al Sadr ad affermare: «È un messaggio di pace. Lo abbiamo liberato anche perché ha fatto chiarezza sull’operato dei militari italiani» . Era stato proprio Garen, dopo la Battaglia dei ponti, a filmare un’ambulanza e accusare i soldati impegnati nella missione «Antica Babilonia» di averla fatta esplodere uccidendo almeno una donna incinta e un anziano. Sino ad allora era stato addirittura negato che i soldati italiani avesse partecipato agli scontri e dopo le affermazioni dei guerriglieri l’allora ministro degli Esteri Franco Frattini dichiarò: «Non è vero che si trattava di un mezzo di soccorso, era un’autobomba» . Per scoprire che cosa fosse accaduto sono trascorsi due anni. La procura militare procede per il reato di uso aggravato delle armi. Il 25 gennaio 2006 convoca come indagato il caporalmaggiore Raffaele Allocca, torrettista e capo arma del mezzo anfibio d’assalto AAV7 dei lagunari «Serenissima» . E lui ammette: «Sparai contro il mezzo perché così mi fu ordinato dal maresciallo Stival. Se mi fossi accorto che si trattava di un’ambulanza mai e poi mai avrei sparato e avrei chiesto spiegazioni al superiore» . Doppia verità anche per la morte di Simone Cola, il mitragliere ucciso a Nassiriya il 21 gennaio 2005. «Una pattuglia aerea — è scritto nella prima relazione della polizia militare — è stata colpita mentre era in missione di soccorso alle unità di terra portoghesi» . Ma con il trascorrere delle ore questa versione viene corretta a aggiustata. Si scopre infatti che quando Cola è stato colpito, i portoghesi erano già rientrati alla base. E arriva la precisazione: «I soldati italiani erano usciti in attività di ricognizione in seguito a un attacco e sono stati presi di mira da almeno sei guerriglieri» . Una «correzione » che non basta a fugare i dubbi. Non viene infatti chiarito come mai si sia deciso di esporre i militari a un rischio così alto se l’allarme era rientrato. E alla fine si scopre che in realtà l’elicottero Ab412 è finito sotto il fuoco di decine di kalashnikov nel corso di un attacco che aveva come obiettivo proprio le truppe italiane. Recentemente è stato un report pubblicato dal sito Wikileaks a mettere in dubbio quanto raccontato su Salvatore Marracino, il soldato che, secondo la versione ufficiale, «morì per un incidente causato dalla sua arma» il 15 marzo 2005 sempre a Nassiriya. Secondo un documento classificato degli Stati Uniti reso noto dal blog di Julian Assange nell’ottobre scorso «alle ore 13 un militare italiano che stava prendendo parte a un’esercitazione di tiro a Nassiriya è stato accidentalmente colpito alla testa» . Nessun cenno al fatto che si sia sparato da solo. La Procura militare guidata da Marco De Paolis ha acquisito copia del notam, ma ha ritenuto che non ci fossero gli estremi per riaprire l’inchiesta. Le testimonianze dei commilitoni e dei superiori acquisite all’epoca sono state ritenute convincenti e si è così deciso di confermare la ricostruzione iniziale.
Fiorenza Sarzanini