Giorgio Dell’Arti, La Stampa 5/1/2011, PAGINA 86, 5 gennaio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 60 - METTER SU LA REDAZIONE
Il direttore? All’ inizio doveva essere Cesare Balbo, naturalmente. Ipotesi che per qualche ragione a un certo punto venne lasciata cadere. Si pensò allora a Massari, giobertiano fervente, pugliese scappato a Parigi e più tardi condannato a morte. Aveva collaborato alla «Gazzetta italiana» della Belgioioso e a Torino era conosciuto per aver diretto il «Mondo illustrato». Una scelta strana, se vogliamo. Gli mandarono sotto Carenzi, per sentire se avrebbe accettato, e Carenzi si sentì fare un discorso che deve essere stato, più o meno, questo: «Come! Un giornale codino, che terrà certamente pei gesuiti…».
Come gli era venuto in mente? Perché quelli della «Concordia», il giornale di Valerio, andavano in giro calunniando «Il Risorgimento», qualificato senz’altro di retrogrado. Mazzini infatti scrisse «mi spiace perché quei Signori sono addietro nel moto attuale, e cacciano debilitanti dove abbisognano eccitanti» , e Valerio girava dicendo «il partito aristocratico si va riordinando» , Cavour «cercherà di fare al Piemonte quel male che il "Débats" produsse e produce in Francia» , cioè propaganda reazionaria, difesa dei privilegi patrizi, eccetera. Un clima al limite dell’ intimidazione. Cavour: «on intrigue beaucoup contre de nous», «chi ci considera come rivali, e chi non ci ama, ci muove da alcuni giorni guerra terribile, senza riffugere dall’ impiego delle armi sleali dell’ ingiuria e della calunnia […]Combatteremo le calunnie coll’ esporre schiettamente le nostre dottrine» . Romeo: «Era in forma embrionale, ma già assai efficace, quel fenomeno del "terrorismo ideologico" che da allora era destinato a mietere tante vittime tra gli intellettuali progressisti, e ad occupare tanto posto nella vita della società contemporanea». Cavour: «Lo spavento è fra i scrittori che temono l’impopolarità» . Ecco spiegata la reazione di Massari, che provocò in Camillo un «doloroso stupore» . Massari ebbe poi paura che Balbo si fosse offeso, scrisse al conte di esser stato frainteso e si propose infine come corrispondente da Firenze. Il conte: «Accettiamo l’ offerta con riconoscenza. S’ella non rifugge dall’idea di associare il suo nome a quelli che vengono chiamati aristocratici, gesuiti e gamberi, saremo lieti di vederlo figurare nel nostro giornale…» . A metà dicembre era ormai deciso che il direttore sarebbe stato Cavour, e sia pure lasciando a Balbo una sorta di seconda direzione per la politica interna.
I redattori? «Credo sia mestieri averne un 5 o 6 pagati, buoni e ben diretti» , scrisse il conte Franchi al 9 di dicembre. Dove li trovavano? I giornalisti esistevano? Erano quasi tutti letterati, più o meno mancati. Oppure giuristi, avvocati. Castelli e Carenzi erano avvocati, Galvagno un professore di Diritto, Cassinis un giurista, Bon Compagni un magistrato appassionato di problemi della scuola, idem questo Franchi, Luigi Franchi di Pont, un nobile impegnato nella battaglia per gli asili. Pietro di Santa Rosa, il cugino di Santorre, quello che era stato con Cavour a Parigi e a Londra nel ‘35, deve essere messo nel gruppo dei letterati mancati. Memorabile il fiasco della sua tragedia Corso Donati . A Parigi l’ editore Baudry, vedendosi offrire certe Scene storiche del Medioevo , gli aveva riso in faccia. Ma era una buona pasta d’uomo, s’era riciclato in politica e non faceva mostra delle sue frustrazioni. Reta invece - Costantino Reta - era un genovese illividito dagli insuccessi: commedie fischiate o protestate, giornali chiusi o mai usciti. Non è sempre facile distinguere - in mezzo ai nomi citati nella corrispondenza - i redattori veri e propri dai collaboratori che mandavano un pezzo ogni tanto.
Ci sarà una qualche contabilità. Sì, per esempio risulta che gli avvocati Luigi Re e Tommaso Mattei vennero assunti con funzione di redattori a cento lire al mese. Non era poco. Buoni i compensi anche ai collaboratori. L’avvocato Carlo Eugenio Rossi, autore probabilmente di un solo articolo, concordò dopo due mesi un’ uscita da 500 lire. Castelli, nominato vice-direttore, prendeva 625 lire a trimestre. Reta, che litigò prima con Balbo e poi con Cavour, venne liquidato alla fine di febbraio con 1.850 lire, che mi paiono un’enormità. Altro discorso riguarda i corrispondenti. Massimo promise che avrebbe mandato notizie da Roma ( «se mi date un’indicazione di ciò che potrebbe servire più profittevolmente d’argomento, procurerò anch’io di fare alla meglio qualche cosa» ) poi rinunciò perché era troppo impegnato in politica e si fece sostituire da un Tommaso Tommasoni a 50 franchi il mese ( «Il "Times" dà 9 mila franchi l’anno ad uno che gli scrive una volta la settimana da Roma» ). Non si trovava un corrispondente dal Regno delle Due Sicilie e bisognò accontentarsi delle chiacchiere che Emilio raccoglieva al porto di Genova dai marinai in arrivo da Palermo o Napoli. Con qualche rischio. Emilio a un certo punto avvertì: «Uno che conosce Palermo m’ ha detto ieri sera che sulla città abbiamo pubblicato dettagli inesistenti, dice che se l’ è sognati qualcuno che non è mai stato laggiù, tutte contraddizioni, cose impossibili…».