MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 5/1/2011, pagina 1, 5 gennaio 2011
DISUNITÀ D’ITALIA
La grande mobilitazione popolare per chiedere l’estradizione di Cesare Battisti s’è risolta con circa cinquecento persone in piazza a Roma, una cinquantina a Milano e addirittura cinque a Firenze. Pochi e non senza sbavature. A Roma si sono visti saluti romani che non si capisce che cosa c’entrassero; a Milano lo slogan più gettonato rivolto al console brasiliano è stato: «A noi Battisti, a voi i travestiti». Che tristezza.
Ma il mesto spettacolo offerto dalla piazza riesce comunque a vincere il confronto con quello offerto dalla classe politica. Se i cittadini indignati erano pochi, i politici sono stati pocos, locos y mal unidos, secondo la definizione con cui gli spagnoli liquidarono i rivoltosi sardi al tempo di Carlo V. Soprattutto mal unidos, dal momento che neppure sulla necessità di assicurare alla giustizia un assassino pluricondannato destra e sinistra hanno saputo trovare coesione. In piazza Navona ci sono andati sia gli uni che gli altri: ma curandosi bene di andarci in orari diversi per non correre il rischio di brutti incontri. E questo è un primo elemento di sconforto. Nella tanto bistrattata prima Repubblica democristiani e comunisti - che pure erano ideologicamente ben più divisi di quanto lo siano adesso i due cosiddetti «poli» - sul terrorismo seppero trovare un’unità di intenti che fu alla base della vittoria della democrazia sui kalashnikov dei brigatisti.
Il secondo motivo di sconforto sta nelle motivazioni che paiono aver indotto destra e sinistra a scendere in piazza. Il governo protesta energicamente, ma non senza preoccuparsi - ogni due per tre - di ribadire che l’amicizia con il Brasile non è minimamente in discussione. E soprattutto tanta energia viene profusa adesso, a babbo morto, e non quando forse si potevano ancora evitare la beffa della mancata estradizione e l’oltraggio delle sue motivazioni. Quanto all’opposizione, il caso Battisti sembra più che altro un pretesto per accusare il governo di insipienza, impotenza, scarso prestigio internazionale. Insomma, l’impressione è che la maggioranza abbia preso ora ad agitarsi tanto per tenere buoni i propri elettori, e la minoranza per colpire, più che Battisti, il nemico di sempre: Berlusconi.
In una simile situazione, naturalmente, tutti accusano «gli altri» di essere i soli responsabili dello scempio, dimenticando che la vicenda Battisti è in realtà molto più complessa di quanto si creda. Non c’è dubbio, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, che tutto sia partito da una campagna di disinformazione finalizzata a far credere che l’indegno omonimo sia stato vittima di una giustizia punitiva; e che questa campagna di disinformazione sia stata prontamente recepita dai soliti intellos francesi sempre pronti a bersi qualsiasi balla sulla repressione degli scrittori (perché uno dei risvolti tragicomici di questa vicenda è che Battisti sia stato considerato uno scrittore, e non un assassino).
Non c’è dubbio, dicevamo. Ma non c’è dubbio anche - e questo è un po’ più difficile da spiegare - che tale campagna abbia poi condizionato un governo di centrodestra qual era quello, con Sarkozy ministro degli Interni, che consentì a Battisti di scappare in Brasile con un passaporto falso. Chi sostiene che Sarkozy abbia agito sotto l’influenza della moglie, forse non sa che all’epoca il futuro presidente e Carla Bruni non si conoscevano neppure. Né si può accusare, come ha fatto il nostro ministro degli Esteri, la famosa «dottrina Mitterrand»: la Corte francese che concesse l’estradizione si appellò proprio a quella dottrina, in base alla quale l’asilo in Francia era escluso ai responsabili di omicidio.
Ci sono tante parole in libertà, insomma, in questi giorni. L’unica - e modesta - consolazione è che per una volta la nostra politica non è stata peggiore di quella degli altri Paesi coinvolti. Infatti è la politica, ovunque, la responsabile del ghigno beffardo con cui Battisti saluta le nostre patrie galere. La magistratura ha fatto il proprio dovere dappertutto: in Italia condannando; in Francia e in Brasile concedendo l’estradizione. Se Battisti non rientra in Italia è perché la politica italiana non si è fatta valere, quella francese l’ha fatto scappare e il presidente del Brasile ha smentito i propri giudici.
All’imputato Battisti bisognerebbe purtroppo dire non «alzatevi», come si usava durante i processi, ma «sedetevi»: non è lui il soggetto delle preoccupazioni e delle contese di questi giorni. Né tantomeno, ovviamente, lo sono i poveri morti da lui ammazzati.