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 2011  gennaio 05 Mercoledì calendario

FAR QUATTRINI IN BORSA CON LA MUSICA

Londra. L’abito non fa il monaco ma certamente il nome fa la differenza per un titolo azionario. Fino a dieci giorni fa, infatti, la Zest era una scalcinata casa discografica londinese con i bilanci ridotti a un colabrodo e in banca un capitale di 630mila sterline. Poi, il 12 novembre scorso, la folgorazione: cambiare di punto in bianco il nome dell’azienda, e quindi del titolo, in Rare Earth Minerals Plc pur non cambiando minimamente il business in cui si è occupati. Detto fatto, l’azione ha guadagnato il 333 per cento di valore all’Aim, la piattaforma per piccole impresa della Borsa di Londra, quadruplicando il valore da 0,35 pence con valutazione a 3,1 milioni di sterline a 1,52 sterline con valutazione a 13,5 milioni.
Per capire come sia stato possibile questo miracolo, bisogna partire dal significato insito nel nuovo nome scelto: rare earth. Ovvero, una serie di minerali largamente usati nei maggiori comparti industriali di cui sono un elemento fondamentale, soprattutto quello bellico per le guide dei missili. La definizione è un retaggio dell’800 e oggi forse indica più precisamente il fatto che sono pochi i produttori di questi materiali (sono difficili da trovare in concentrazioni che ne rendano conveniente lo sfruttamento) e ne controllano il prezzo realizzando immensi guadagni, condizionando le scelte strategiche di molte aziende (dai produttori di schermi ultrapiatti agli armamenti, passando per il comparto auto) e, potenzialmente, facendo aumentare il valore delle società minerarie che li estraggono. Attualmente è la Cina a detenere l’80 per cento di questa gallina dalle uova d’oro e lo scorso luglio Pechino ha deciso un bando sull’export come ritorsione commerciale contro gli Stati Unitit: insomma, materiale dal valore strategico e anche economico enorme. La Zest, ovviamente, non detiene alcun quantitativo di questi materiali né ha licenze per aprire miniere al fine di ricercarli, semplicemente ha preso il nome e lo gettato in pasto agli investori di quel mercato, l’Aim, che Roel Campos, un funzionario della Sec, definì «un vero e proprio casinò».
Non è la prima volta che accade, visto che all’inizio dello scorso dicembre l’azione della Desire Petroleum replicò l’andamento miracoloso della Zest senza che i regolatori del mercato londinese avessero nulla da obiettare: tutto bene così. Per un broker contattato dal Riformista e che ha chiesto la copertura dell’anonimato, «siamo di fronte a una pura follia da penny stocks, una mentalità d’azzardo che oltretutto non riesco a capire dove voglia andare a parare se non monetizzare un’illusione. Siamo in una situazione che ricalca il boom del comparto dotcom». All’epoca le cosiddette “cash shell”, aziende con una quota di mercato azionario ma senza reale business, furono ammesse all’Aim, salvo vedere il loro valore collassare del tutto quando la bolla esplose e la Borsa di Londra decise di cambiare le regole. Operazione che, a quanto pare, non è servita amolto.
TD Waterhouse, un retail broker, ha confermato che la Rare Earth Minerals sei giorni fa è stata l’azione più trattata, prima per ordini di acquisto e quarta per ordini di vendita: «È la prima volta che ho visto apparire quel titolo nella top ten», ha dichiarato un portavoce della ditta, forte dei 143 milioni di azioni passate di mano nonostante l’assenza di nuone informazioni pubbliche al riguardo. L’unico annuncio fatto dalla Rare Earth Minerals dal cambio di denominazione a oggi, infatti, è l’assegnazione di 98 milioni di opzioni a dirigenti, staff, consulenti e assistenti a 0,5 pence riscattabili in dieci anni. Insomma, un gioco di puro illusionismo finanziario come quello compiuto nel mese di gennaio, quando il titolo conobbe un’altra impennata, dopo l’assunzione di David Lenigas, un veterano del mondo delle penny stocks, come non-executive dell’azienda. Nel consiglio di amministrazione della Rare Earth Minerals siede insieme a un solo altro membro, ma è contemporaneamente direttore di altre 94 aziende, tra cui la Solo Oil, la Vatulouka Gold Mines e la LonZim: insomma, una sorta di guru. Peccato che alla ex Zest non sappiano nemmeno cosa siano miniere e minerali ferrosi. Uno studio dello scorso anno compiuto dall’Università di Manchester, confermava che le aziende quotate all’Aim sopravvivano meglio se più vecchie a livello di fondazione, più grandi di dimensioni, con un grosso flottante e un advisor con reputazione riconosciuta: a parte il flottante, la Rare Earth Minerals non ha nulla di quanto richiesto per sopravvivere alla concorrenza. Il problema è che la casa discografica non pare avere intenzione di volersi tramutare in una “cash shell” nel comparto metallico, per ora si gode la liquidità fornitale dal cambio di nome e attende sviluppi: all’Aim, si sa, i controllori non sono molto attenti. Alla Zest non hanno trovato metalli rari ma una miniera d’oro.