STEFANO BARTEZZAGHI, la Repubblica 5/1/2011, 5 gennaio 2011
SHOW TV, RADIO, LIBRI LA CARICA DEI CAGNOLINI
Forse anche i modi di dire più disinvolti, come «stare da cani», «essere quattro gatti» e «stare come un cane in chiesa» andranno ormai revisionati. Sono passati, infatti, i tempi in cui agli animali veniva riservato un trattamento mediamente sbrigativo. A prendersi particolarmente cura degli animali erano in passato creature umane considerate a loro volta marginali.
Persone anziane (come l´Umberto D. dell´omonimo film di Vittorio De Sica), bambini, senzatetto, santi. Un mondo chapliniano, incline a sentimenti e linguaggi universali.
Questa pietas per il mondo animale parrebbe ora dilagata ben al di là dei suoi confini tradizionali. A smentire l´incompatibilità fra cani e chiese, la parrocchia di Avetrana considera meritoria (e ospita) l´iniziativa a favore di un canile municipale, in memoria della povera Sarah Scazzi, che tanto desiderava fare qualcosa per i cani.
A smentire l´altra incompatibilità (non proverbiale ma invece logistica) fra animali anche ingombranti e personaggi del jet-set non c´è solo il famoso maialino che conviveva con George Clooney, in una sua fase strettamente single; ci sono anche le pop-star, da Francesco De Gregori a Robbie Williams, che durante le dirette di Radio DeeJay familiarizzano con Uma, la cagnolina di una redattrice, ormai (la cagnolina) co-protagonista del programma.
Altrettanto devono fare gli ospiti del talkshow di Alfonso Signorini con il golden retriever del programma, che porta il non meno impegnativo nome di Vespa. Nelle interviste ai vip in genere, poi, ogni allusione ad amicizie intime con bestiole è benvenuta, perché evidentemente fa empatia con lettori e lettrici.
Cantanti, giornalisti e scrittori hanno dedicato libri, copertine, dischi e pagine a cani e gatti. In politica, invece, hanno fama zoofila due ministri in carica: il ministro per la Semplificazione Normativa Roberto Calderoli e la ministra del Turismo Michela Brambilla, rispettivamente di osservanza più esotica (con sconfinamenti nel feroce) e più rurale.
Se i vip possono godere del beneficio dell´eccentricità la gente comune (che tanto comune non è mai pure quella) ha ancora meno remore, ed esibisce la propria zoofilia con molta più fierezza, in confronto al passato anche recente.
«Io sono io perché il mio cagnolino mi riconosce», aveva detto ai suoi tempi Gertrude Stein, in rappresentanza di migliaia di suoi consimili. Beniamino Placido combinava con questa citazione il racconto cechoviano «La signora con il cagnolino» per spiegare il meccanismo di funzionamento della televisione, dove si va per essere visti da qualcuno (visto che il già onnipresente Dio pare oramai disinteressarsi a noi, come appare da un colloquio con Javier Marías recentemente riassunto sull´Espresso da Umberto Eco).
Chi assiste ai nostri successi, alle nostre sconfitte, ai nostri vizi e alle nostre virtù? Chi altro ci riconosce, risponde, sopporta, di sicuro?
A controprova, l´indignazione tocca punte inaudite, sinora raggiunte solo nelle più dolenti occasioni umanitarie, per fenomeni come l´abbandono dei cani che intralciano le vacanze delle famiglie o per eventi di cronaca, sevizie o esperimenti scientifici dissennati. I bambini sono sempre più agguerriti nel difendere gli animali anche da facezie di poco momento; appena ne hanno l´età vanno su Facebook e si iscrivono ai numerosissimi gruppi di amici degli animali, che combattono a favore dell´istituzione di authority a protezione degli animali e dei loro diritti.
La parola «diritti» è da sottolineare, perché mostra il salto di livello anche lessicale che si è avuto nella considerazione degli animali, a cui la coscienza che poco fa si diceva «umanitaria» viene ipso facto estesa. In aggiunta a quello linguistico e all´etico è vistoso anche l´adeguamento merceologico, con prodotti che invadono in vasta gamma gli scaffali di qualsiasi grande magazzino, anche a voler prescindere dai Doggles, gli occhiali da sole per cani. Annunciandone l´invenzione su queste pagine, pochi giorni fa, Angelo Aquaro ha parlato del «nostro amore malato per gli animali». A volte malato lo è in senso stretto, perché molte speranze vengono riposte alla «pet therapy», cioè al beneficio che certe categorie di malati proverebbero nel frequentare e accudire, o essere accuditi, da un animale domestico.
Proprio ieri, sul New York Times, lo psicologo Hal Herzog gettava acqua sul fuoco dell´entusiasmo per la pet therapy, pur non potendo smentire il sollievo almeno umorale che molto spesso ci viene da quelli che i più classici servizi di alleggerimento dei TgUno chiamano «I nostri amici a quattro zampe». Credenze e speranze che poggiano, evidentemente, su rapporti reali. Per quanta sproporzione possa scorgere nelle attuali forme della zoofilia chi non concepirebbe mai di lasciar coricare sul proprio letto un cane o un gatto, l´uomo dimostra di trovare nel mondo animale non solo compagnia, aiuto nel lavoro, gioco, obbedienza ma anche veri e propri interlocutori che prima non sospettava di avere, se non per convenzione metaforica o comunque poetica.
L´intelligenza animale, intesa come la muta comprensione che gli animali hanno di noi, deve giocarci un ruolo importante: perché ci capisce, appunto; ma soprattutto perché è muta.