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 2011  gennaio 04 Martedì calendario

E DALLA PALUDE ROMANA RISPUNTANO LE CIMICI STATUS SYMBOL DEI POLITICI

Ecco, sì: ci mancava proprio, la cimiceide. A sentire Bossi, si sarebbe di nuovo sturato il Grande Orecchio d´Italia, per cui microspie a casa, microspie in ufficio, segretarie sospettose, bonifica eseguita in privato, rivelazione trasmessa ai giornalisti dopocena e comunque in congruo ritardo, rassegnazione sull´impossibilità di scoprire i colpevoli, comunque la libertà è in pericolo e la palude romana, come s´intuisce, è in agguato e tenta invano di ostacolare il grande cambiamento. E vabbè.
La cimice è una bestiolina molesta che prospera in ambienti poco puliti. Neanche a farlo apposta, ne esiste una variante verde Padania; ma soprattutto il Senatùr risulta vittima talmente recidiva che le parole di fatalistico allarme e denunciante sopportazione da lui usate nel dicembre 1993 dopo un imprecisato rinvenimento di otto o nove cimici nell´abitazione romana, potrebbero tranquillamente sostituire quelle di ieri.
Alla bella distanza di 18 anni si fa presente che la faccenda durò sui quotidiani tre-quattro giorni, ma già al secondo Bossi gli aveva impresso una piega un po´ da ambigua commedia, per cui inizialmente diede la colpa delle microspie ad incogniti, ma non ignari "mariti cornuti"; salvo poi ritornare alla sua maniera sui servizi segreti dell´odiato Viminale e dato che le cimici ronzavano anche in camera da letto disse: «Chissà la rabbia di Mancino a sentire me e mia moglie all´opera…».
Il fatto che a quei tempi non fosse ancora propriamente ri-sposato non assume qui un particolare rilievo, se non per sottolineare che la cimiceide all´italiana si configura come una patologia generalmente irrecuperabile, ma forse proprio per questo buffa e selvaggia ad un tempo, plausibile e fasulla in eguale misura.
Ora, la storia offre diversi casi di microspie che hanno sortito effetti politici di peso: il vecchio Silvio Gava, ad esempio, incastrò Lauro registrandone un colloquio; così come i democristiani siciliani cominciarono a smontare l´alleanza milazziana con una sorta di microspia piazzata in una sala d´albergo durante la più incredibile transazione di potere: un analfabeta nominato responsabile di un ente culturale.
E tuttavia, seguendo le strade sfuggenti dell´immaginario c´è qualche ragione di pensare che da Giolitti all´Ovra, dal Sifar agli Affari Riservati, da Telekom a Echelon passando per la privatizzazione dell´intelligence, con i suoi risvolti "vu cumprà" (vedi le offerte dei nastri Consorte-Bnl ad Arcore), ecco, in Italia non solo non è mai stato chiaro il confine tra spioni e spiati, ma tutti più o meno spiano tutti, quando possono; e a volte fanno anche finta di essere spiati, quando non lo sono per niente.Tale condizione di aggrovigliatissima incertezza finisce per schiacciare il tema sotto la dittatura del relativismo; e allora, più che la teoria e la prassi dell´intercettazione ambientale resa inevitabile dagli sviluppi tecnologici e dalla moltiplicazione dei soggetti a caccia di notizie, nel calderone ribollente della memoria fermentano le storie, i personaggi, linguaggi, anche i luoghi bizzarri che nascondevano le cimici. Il posacenere dell´automobile dell´onorevole; la madonnina recata in dono dal Kgb al cardinal Casaroli; il sottopiatto del ristorante torinese frequentato dal corruttore ex tenente degli alpini; il quadro sopra la testa del presidente delle Ferrovie. E ancora, sempre rischiando di impantanarsi sui sentieri impervi degli impicci italiani, ecco le confessioni golpiste e manipolate all´agente del Sid; o il corteggiamento a base di pecorino del faccendiere al povero Calvi; come pure la sonora ricerca di cimici tra i divani da parte del potente (e innocente) magistrato siciliano, «Unni è? Unni è?»; senza dimenticare i dialoghi degni del Vernacoliere registrati alle spalle di certi banchieri toscani un po´ svelti, «L´amico tuo è una fava lessa!»; fino allo splendido, ma pure sintomatico caso denunciato da Cossiga di un´effrazione in cui dopo aver deposto le microspie in casa di un banchiere amico suo, i soliti ignoti si erano fregati dei candelabri d´argento.
Quando nell´autunno del 1996, dopo che in una indimenticabile conferenza stampa Berlusconi espose in visione il cimicione rinvenuto nel radiatore dietro la scrivania di Palazzo Grazioli, un sondaggio Cirm fissò al 30 per cento il numero degli italiani convinti che lì dentro l´avesse piazzato il padrone di casa. «Forse l´ha messo Veronica» ipotizzò Umberto Eco; «Può darsi di sì» commentò lei. Solo dopo qualche anno si venne a sapere che il Cavaliere, grande campione di privacy, aveva impiantato un sistema per captare all´insaputa le voci di tutti quelli che mettevano piede a casa sua. Per difendersi, fu detto, da chi spifferava notizie ai giornali, ma un po´ anche «per la storia».
Forse tra gli spiati – ironia della sorte e della cronaca - c´era anche Bossi. La libertà, del resto, è sempre in pericolo: anche se in Italia non si capisce mai troppo bene se quel fastidioso insetto è un ospite gradito o sgradito, sazio, furbo, ottuso o disperato.