Elvira Serra, Corriere della Sera 04/01/2011, 4 gennaio 2011
FALSE IDENTITA’ SUL NETWORK. NEGLI USA DIVENTA UN REATO —
Julia Roberts, Robert De Niro e Angelina Jolie possono tirare un sospiro di sollievo. La vita delle star (e non solo) è meno dura dal 1 ° gennaio. Da quando, cioè, è entrata in vigore la legge SB 1411 promossa dal senatore democratico Joe Simitian, che punisce con una pena massima di un anno di carcere o un’ammenda fino a mille dollari chiunque su Internet si spacci per un’altra persona e ne tragga profitto o danneggi qualcuno. L’integrazione riguarda l’articolo 528.5 del codice penale della California.
Un inconveniente, spiacevole, che tocca celebrità di ogni settore, dallo sport al cinema. Ma non risparmia i comuni mortali, come gli ex, perseguitati dal partner respinto e vendicativo, o il capo detestato dal collaboratore, che si vede tirare brutti scherzi sulla piazza virtuale più famosa al mondo: Facebook. Qui il furto di identità è pressoché incontrollabile, a dispetto della «Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità» che bisogna leggere e condividere prima dell’iscrizione e che vieta di fornire informazioni personali false e di creare più di un profilo. Fu per aver violato questi punti che la scrittrice spagnola Lucía Etxebarría venne espulsa dal social network lo sorso novembre (salvo poi protestare, lei stessa, perché su Twitter un impostore «cinguettava» al posto suo).
«Nel nostro Paese succede soprattutto agli sportivi, ai cantanti e ai politici» , racconta Guido Scorza, docente di diritto dell’informatica all’università La Sapienza. L’elenco degli italiani clonati è lungo. Se ne sono lamentati Carlo Verdone, Jovanotti, Kim Rossi Stuart. Ora protesta Michelle Hunziker, la show girl in prima linea con Giulia Bongiorno per la tutela delle donne vittime di stalking. Dice: «È un fenomeno allucinante e incontrollabile. Io non sono su Facebook, tutti i profili a nome mio sono falsi» . Con il suo nome e cognome, in effetti, compaiono 112 risultati. Un po’ troppi per essere il frutto della diretta interessata.
Gli strumenti per difendersi esistono. Va avanti Guido Scorza: «Siamo tutelati dal codice della privacy, con l’articolo 167 in materia di illecito trattamento di dati personali altrui: le sanzioni possono arrivare a tre anni di carcere. E poi dal codice penale, che nell’articolo 494 avverte: "Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona"va punito con la reclusione fino a un anno» .
Al codice penale ha fatto riferimento anche la Cassazione, con la sentenza numero 46674 del 14 dicembre 2007, che respingeva il ricorso di un uomo che aveva creato un falso account con il nome della ex compagna introducendola in una rete di incontri di tipo sessuale.
C’è chi considera questo tipo di «furti» uno scotto da pagare per la propria notorietà. Tre mesi fa fu resa nota la storia di un fan di Samuele Bersani che aveva creato sulla piattaforma di Mark Zuckerberg una pagina a nome suo, procurandosi in pochi giorni oltre 21 mila adesioni. Il cantante reagì con sportività, non nascondendo di essere infastidito dall’episodio. Francesco Renga, invece, per due volte ha dovuto chiedere l’intervento dei suoi legali. Spiega lui stesso: «L’ho dovuto fare con chi aveva creato un sito web con il mio nome: me ne sono finalmente riappropriato nei mesi scorsi. E poi l’ho dovuto fare anche su YouTube. Tuttora c’è più di un profilo a mio nome su Facebook, ma preferisco non avvisare la polizia delle telecomunicazioni. Quando non c’è dolo, mi diverto. Sono solo fan affezionati, mi vogliono bene. Posso però dire, per metterli in guardia, che io non interagisco mai direttamente con i miei sostenitori: chiedo commenti, apro discussioni, ma non mando mai email private» .
Elvira Serra