Raffaella Polato, Corriere della Sera 04/01/2011, 4 gennaio 2011
«E’ ANDATA E VEDRETE: CI SONO ANCHE GLI AMERICANI» —
Occhi in su ai tabelloni: «È andata» . Bene, sottinteso. E meglio per l’auto che per camion e trattori, a dir la verità: gli scambi sono aperti da poco più di mezz’ora, continuano a salire tutti e due i titoli e insieme sono già ben oltre i 15,43 euro della «vecchia» Fiat, ma lo scarto tra i sette euro della Spa e i nove della Industrial è inferiore a qualsiasi scommessa di qualsiasi report. Tutti o quasi sicuri, fino alla vigilia, che il mercato non avrebbe forse snobbato la prima però di sicuro si sarebbe buttato più sulla seconda. Non va così. Eppure Sergio Marchionne gli analisti non li smentisce. Cioè, è ben felice di vedere l’auto esordire più forte delle previsioni (altrui). Ma se nei dintorni, qui in Piazza Affari, c’è chi lo crede deluso per la corsa non altrettanto sprint (pur sempre un 3%in più fin dall’avvio) di trucks &C., beh: sbaglia. E non è solo facciata, quella dell’amministratore delegato Fiat-Chrysler e presidente di Fiat Industrial. «Aspetti gli americani» . Intende gli investitori. Perché adesso, e fino all’ora di pranzo, gli ordini che arrivano in massa sono ordini essenzialmente made in Italy. Londra è chiusa (Capodanno protratto) e per Wall Street occorre attendere il gioco dei fusi orari. In effetti, quando poi si presentano online, anche loro si fanno sentire. Entrambi i titoli erano nel frattempo scesi. Riprendono a correre e la matrice estera degli acquisti un chiaro peso ce l’ha. Marchionne «l’americano» gli americani— corteggiati in due settimane di road show— li ha convinti intanto a investire qui. Piazza Affari. Italia. Aziende «italiane» . Solo, con mentalità globale. E con un progetto, accelerato a partire proprio dall’America di Chrysler (la via non è a senso unico), sovranazionale. Retorica, si dirà. Ma il successo del primo giorno di quotazioni della «doppia Fiat» , che segue una volata di oltre il 50%dall’annuncio dello spin off, dà la chiave della differenza. Lo scorporo non serve soltanto, come pure ripete il leader del Lingotto, a liberare per le due società «il valore che altrimenti resterebbe in parte inespresso» . Questo è il lato finanziario. Necessario, però in sé non sufficiente, a completare la costruzione che a Torino hanno in mente. E sulla quale i mercati stanno fin qui scommettendo. «Un punto di arrivo e allo stesso tempo di partenza» : non è un caso che Marchionne lo definisca così, l’esordio delle due aziende ora «libere di seguire ognuna la propria strada, in autonomia. Dopodiché gli si può credere oppure no, quando fissa il traguardo a due gruppi «con radici in Italia ma sempre più forti nel mondo» , e sicuramente la sfida è ambiziosa e ad alto rischio soprattutto per l’auto. Però è proprio l’auto, intanto, a dimostrare la metamorfosi del Lingotto. Ancora fino a ieri, in fondo, chi comprava i titoli torinesi in Borsa pensava di comprare Fiat, Lancia, Alfa, Ferrari, Maserati. Poi certo, si sapeva che dentro c’era un 20%di Chrysler. Ora Marchionne conferma pubblicamente quanto aveva anticipato agli analisti Usa, ossia che «sì, è possibile» che già entro l’anno «saliamo al 51%se Chrysler deciderà di andare in Borsa nel 2011» . Il dettaglio è che ciò significherebbe un rimborso anticipato dei prestiti ottenuti dal Tesoro americano. E che il traguardo della maggioranza — ma Fiat pagherà appena il 16%: per circa 500 milioni di euro secondo gli stessi analisti, per una cifra un po’ più alta secondo fonti dirette— era previsto solo nel 2013 dagli accordi originali. È probabilissimo che la prospettiva di quest’accelerata abbia contribuito, ieri, alla corsa più decisa di Fiat Spa rispetto a Fiat Industrial. È un fatto, in parallelo, che chi voglia scommettere direttamente e da adesso anche solo sul completamento della «rinascita Chrysler» debba già (in attesa della quotazione di Auburn Hills) passare dal Lingotto. E se è vero che Marchionne glissa sulla fusione — «Non abbiamo nessun piano oggi» — l’integrazione produttiva e commerciale marcia spedita. Non c’è soltanto la fabbrica in comune a Mirafiori: (se i lavoratori torinesi voteranno sì a maggioranza). Basta andare sul nuovo sito della nuova Fiat Spa: a pieno titolo, tra i marchi, accanto a Ferrari, Lancia, Alfa eccetera, compaiono Chrysler, Jeep, Dodge, Ram. E allora: gruppo italiano? Americano? Italo-americano? O semplicemente Lingotto, con Auburn Hills capitale «sorella» e «di casa» anche in Brasile, Polonia, Serbia, Turchia, in Asia nelle promesse di domani? La scommessa, per l’auto, sta qui. Per «l’altra Fiat» , Industrial, si sale di un piano. I trattori e le macchine agricole di Cnh sono già tra i numeri uno globali. I camion di Iveco altrettanto: nel 2005, per dire, in Cina vendevano appena il 10%, oggi là fanno oltre la metà della loro produzione. Dovranno, entrambe, crescere ancora. E sì, c’è chi parla di cessioni (soprattutto per Iveco). Marchionne però risponde così: «Fiat Industrial è un’azienda che nasce già leader» , lo spin off serve semmai al contrario, a dare «libertà di scegliere le strategie migliori e cogliere le opportunità di crescita e consolidamento» . Insomma: alleanze, joint ventures, partnership. È a questo che il management sta lavorando. E solo maxi-assegni potrebbero cambiare in «vendita» i titoli dei dossier.
Raffaella Polato